L’uomo che potrebbe mandare «qualcuno a finire il suo lavoro», è qualche metro più in là, alla destra di Lucia, sulla stessa prima fila di banchi, nell’auletta del giudice Maurizio Di Palma. Si chiama Luca Varani, ha 37 anni e oggi, con i capelli cortissimi, le scarpe basse e gli abiti dimessi, è solo la controfigura dello smargiasso bon vivant che la Pesaro by night ricorda.
Le foto e gli occhi bassi Il «suo lavoro» non l’ha finito perché quella sera - era il 16 aprile scorso - Lucia riuscì istintivamente a proteggersi con una mano dal vetriolo, perché le sue lenti a contatto fecero il resto, perché i dieci interventi chirurgici subiti l’hanno riportata pian piano a una vita quasi normale. Ma Lucia stasera ha ancora paura: non le basta neppure che siano in carcere anche i due albanesi indicati da Varani stesso come gli esecutori materiali dell’agguato, Rubin Ago Talaban e Altistin Precetaj, il primo che le gettò l’acido solforico in faccia e il secondo che rimase a fare il palo.
Lucia ha avuto la forza di guardare le terribili fotografie del suo volto dopo l’agguato, proiettate in aula dal pm, mentre Varani è rimasto con gli occhi bassi. Ha resistito ad ascoltare tutta la requisitoria senza mai allontanarsi, dando qualche cenno di impazienza solo all’inizio, davanti alle due eccezioni della difesa -puntualmente respinte- che però un paio d’ore le hanno fatte perdere. Ma alla fine le è tornata la paura.
Un amore malato Fu una storia d’amore malato, venuta fuori solo per il suo coraggio, solo perché ha voluto a un certo punto gridare al mondo: «Sono loro che hanno perso la faccia». Un canovaccio balordo di provincia: lui che ha una fidanzata ufficiale e continua a frequentare Lucia, lui che aspetta una bambina da quella donna e Lucia che s’infuria, che tronca di netto. E l’inferno che comincia, perché Luca non ammette sconfitte: liti e minacce fino a quelle manopole del gas manomesse un mese prima del vetriolo che oggi valgono a Varani l’accusa più pesante, il tentato omicidio.
Rischia una condanna pesantissima: potrebbe arrivare -comprese le accuse di stalking e di lesioni gravissime, e con lo sconto di un terzo previsto dal rito abbreviato- a una ventina di anni di carcere. La stessa pesante richiesta di condanna che incombe sui due albanesi. Talmente pesante da poterli anche convincere che forse è arrivato il momento di aprire bocca, che l’ostinato silenzio mantenuto dal giorno dell’arresto non paga. E a chiarire il rapporto che li lega a Varani, che in fondo è stato lui a tirarli in ballo, ad ammettere che li aveva davvero incaricati di usare il vetriolo, anche se solo «per danneggiare la macchina di Lucia».
«L’avvocato lo paga lui» È stato sempre Varani, quest’estate, a scrivere una lettera a Talaban e Precetaj per dare precise indicazioni sulla versione da fornire. Tutto fa immaginare una specie di trattativa sotterranea non ancora conclusa, come dimostrano certe intercettazioni raccolte dagli albanesi: «L’avvocato ce lo deve pagare lui ...».
Si ricomincia oggi da dove si è lasciato: un’altra ora buona per il pm Garulli e poi la parte civile e le difese. La sentenza si allontana, probabilmente se ne riparlerà la settimana prossima.
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