Pronto soccorso, ancora troppi codici bianchi che tolgono spazio alle urgenze

Pronto soccorso, ancora troppi codici bianchi che tolgono spazio alle urgenze
di Antonio Bonanata
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Venerdì 16 Gennaio 2015, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 21:31
Al pronto soccorso per una semplice influenza, un piccolo taglio, un calo di pressione: ormai sono anni che negli ospedali italiani si precipitano pazienti in codice bianco, che vengono visitati anche dopo 4-5 ore dall’arrivo; com’è giusto che sia, la precedenza viene data a quelli più gravi, in codice giallo e rosso (rispettivamente il 18 e l’1 per cento del totale).



I pazienti meno doloranti, però, sono anche quelli che allo stesso tempo si lamentano di più per l’attesa prima della visita, rivolgendosi all’ufficio relazioni con il pubblico per protestare. Il più delle volte sono problemi da niente ma pretendono di essere visitati con la stessa sollecitudine riservata a un infartuato o a chi si è fratturato una gamba.



Neanche il ticket li dissuade: tra i 20 e i 25 euro in tutta Italia, anche se non sono escluse esenzioni o aumenti. Tutto perché non si ha voglia di mettersi in lista d’attesa ma – un po’ per ipocondria, un po’ per sano egoismo – si vuole una risposta immediata e sicura. Sono circa un terzo i pazienti “bianchi”, su un totale di 24 milioni di visite svolte ogni anno, nei policlinici si può arrivare a 250 visite in un giorno (5 minuti a persona, ritmi da catena di montaggio). Nei pronto soccorso italiani (in tutto 844, di cui 513 di livello base, 331 complessi) lavorano 12mila medici e 25mila infermieri; i ricoveri disposti annualmente sono 3,6 milioni.



La tendenza a rivolgersi sempre di più alle emergenze è certificata dalle statistiche: l’aumento medio dei casi annui è dell’1-2 per cento, quelli più gravi crescono del 3-4 per cento.



Crescono anche i casi in cui queste strutture di emergenza vanno in tilt per sovraffollamento o impossibilità a soddisfare tutte le richieste: a Lecce, lo scorso 7 gennaio, 12 ambulanze sono rimaste in coda fuori del pronto soccorso dell’ospedale Fazzi perché mancavano le barelle. Ad Ancona due giorni dopo l’ospedale cittadino era rimasto senza posti e alcuni pazienti sono stati costretti a trasferirsi in altri nosocomi.



È anche vero che in questo periodo dell’anno la vita di chi lavora in pronto soccorso è sottoposta a uno stress maggiore rispetto ad altre stagioni: le influenze debilitano pazienti già fragili, in primis gli anziani, provocando un aumento esponenziale dei ricoveri. Il 9 gennaio il caposala del pronto soccorso dell’ospedale Martini di Torino è stato colpito da un’emorragia cerebrale dopo un turno infernale di 12 ore.



In una situazione come questa, affollata di casi inappropriati, è facile che i posti disponibili si esauriscano in poco tempo, magari privando chi ha davvero bisogno di cure e assistenza dei necessari trattamenti. Ecco perché si rende necessario un cambio delle regole, magari adeguando il personale a ritmi di lavoro più intensi: gli infermieri hanno un’età media troppo alta e il ricambio è ancora fermo. In un grande ospedale come il San Giovanni di Roma, dove si registrano 70mila arrivi all’anno, non sono mancate denunce di persone che erano state visitate su una panca perché sia i lettini delle ambulanze sia le barelle sia le carrozzine erano tutte occupate.
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