La morte di Laura Antonelli, quell’arte difficile di invecchiare bene

di Maria Latella
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Lunedì 22 Giugno 2015, 23:45 - Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 00:09
«È curioso come la gente vi tratti con tanta delicatezza dopo che siete morti». Lo diceva William Holden nel Viale del tramonto. A Laura Antonelli, da tempo e da viva, non importava più essere trattata. Né bene, né male. «Lasciatemi in pace», era il concetto base delle sue ultime interviste. Il suo viale del tramonto, a Ladispoli, non a Los Angeles, è stato lastricato di amori infelici, amanti narcisi, investimenti sbagliati, detenzione per cocaina nei primi anni '90 (poi fu assolta e risarcita), quando già faceva vita appartatissima: se per la stessa ragione avessero deciso di spedire in gattabuia tutto lo show biz di quel tempo, i palinsesti tv si sarebbero d’improvviso svuotati e forse non sarebbe stato così male. Laura Antonelli è morta sola, povera e dimenticata, come purtroppo capita, è capitato e capiterà a molte star dall’irresistibile ascesa e dall’altrettanto fulminea caduta. A molte, ma non a tutte. In questi stessi giorni nei cinema italiani due coetanee di Laura Antonelli recitano in film molto attesi: uno già di grande successo, Youth di Paolo Sorrentino, l'altro, Ruth e Alex, sarà nei cinema dal 25 giugno. Film che le presentano cosi come sono: settantenni di talento. Perché non è vero che il cinema, o in generale il mondo in cui è necessario mostrare - se non il corpo - la faccia, rifiutino le star invecchiate. Le platee sono piene di spettatrici sessanta-settantenni che altro non chiedono se non specchiarsi in coetanee ben conservate.



Per questo Hollywood, e il cinema in generale, hanno cominciato a dargliele, da Helen Mirren a Catherine Deneuve, fino alle venerande Judy Dench e Maggie Smith. Non è più una questione di età, dunque. È, come sempre, come per tutti, capacità di dominare la propria vita e non esserne dominati. Laura Antonelli lo ripeteva a ogni intervista: «Sono fragile, ho sempre voglia di nascondermi». Solo la fede, all’ultimo, le aveva concesso un po’ di pace. Prima, antiche e nuove ferite la inducevano a scelte sempre più sbagliate.



Le storie d’amore passionali quanto devastanti, da Jean Paul Belmondo (la più lunga) alla sequela di uomini italiani con i quali l'aveva sostituito. «Se non avesse fatto l'attrice sarebbe stata una moglie perfetta», disse di lei il regista Marco Risi. Forse le sarebbe piaciuto. Essere quella cosa lì e non il sogno in guepiere degli italiani, ma non è andata così. Sospesa tra la dipendenza dall’amore (cosa diversa dalla stabilità di una forte relazione amorosa) e le dipendenze da alcol e cocaina, a Laura Antonelli non è stata data la possibilità di sopravvivere alla propria fama.



Per sopravvivere devi infatti reinventarti, aprire e chiudere vite diverse. Come ha fatto un’altra icona del sexy cinema italiano, l’intelligente Edwige Fenech, diventata produttrice tv. O come, nel mondo del rock, è riuscito a Marianne Faithfull, già eroinomane fidanzata di Mick Jagger e oggi, a 70 anni, attrice e cantante di successo. L'esempio assoluto è, in questo senso, Jane Fonda. Di vite, lei, se n’è inventate una decina. Appena una cominciava a declinare, ce n'era già subito un’altra pronta. È stata figlia dello star system e di papà Henry Fonda, americana ribelle moglie del francese Roger Vadim, contestatrice della guerra in Vietnam, attrice di super successo, poi attrice dimenticata ma moglie di un politico americano progressista.



Negli anni ’80, in pieno edonismo reaganiano, si è riciclata come teorica del fitness, poi ultracinquantenne ha sposato un miliardario che ancora la rimpiange (Ted Turner). Si sono lasciati ma Jane era già pronta a fare pubblicità alle creme per pelli mature. Un genio. Ha avuto le sue cadute. Si è rialzata, una scrollatina alla polvere e via, verso nuove marce. Certo, non tutte sono come lei. E anche l’America è piena di stelle fabbricate e bruciate: una per tutte, Marilyn Monroe. Conta, banalmente, avere alle spalle una famiglia solida e una solida educazione. Conta, come si diceva negli anni '70, il contesto: sia Jane Fonda che Diane Keaton hanno forti legami familiari, hanno figli (la Keaton ne ha adottati due dopo i 50 ann), hanno scritto libri e creato aziende. Invece, benché nordiche, due attrici svedesi diversamente famose, Greta Garbo e Anita Ekberg, hanno vissuto con estremo disagio prima la fama e poi il trascorrere del tempo. La Garbo è morta sola e praticamente reclusa. La Ekberg è morta sola e pure povera. Rese esperte dalle altrui tragedie, le bellissime di oggi preparano per tempo un piano B. Giselle Bundchen ha lasciato le passerelle, non prima di aver messo su aziende e famiglia.



Elle McPherson, splendida cinquantenne di oculati matrimoni (dopo il miliardario Arpad Busson, il miliardario Jeffrey Soffer) programma di scongelare i suoi ovuli, giudiziosamente messi via anni fa, per dare al terzo marito un bel piccino. Anche la apparentemente più scapestrata Kate Moss produce da tempo col suo brand nel settore moda. Il fatto è che Laura Antonelli non si è mai sentita una star. Non voleva esserlo. Le è capitato e il destino è stato più grande della sua volontà. E, contro la sua volontà, resterà nella memoria dei maschi telespettatori con le gambe di Malizia o il seno di L’innocente. Per dirla con Gloria Swanson, «le stelle non hanno età». E nemmeno, purtroppo, le storie con un triste finale.