Latina, giornalista del Messaggero minacciato in Cattedrale: «Attento, hai visto a Parigi cosa succede ai giornalisti?»

Gianluca Tuma
di Vittorio Buongiorno
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Martedì 13 Ottobre 2015, 03:42 - Ultimo aggiornamento: 17 Ottobre, 12:46
«L'organizzazione criminale colpisce chiunque possa ostacolarla. In qualunque modo». Lo scrive il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Cario. «Intimidisce la stampa locale se questa soltanto riporti all'opinione pubblica e per dovere di cronaca fatti che passano attirare l'attenzione sull'organizzazione che invece a Latina ha tutto l'interesse a tenere il profilo basso e fare affari indisturbata», dice il gip. E aggiunge: «Inquietanti le modalità che hanno riguardato Vittorio Buongiorno, capo della redazione del quotidiano il Messaggero».



Qui bisogna fare un passo indietro. E devo parlare in prima persona perché sono io la vittima delle minacce. E' l'11 gennaio del 2015. A Roma, quel pomeriggio si gioca il derby, a Latina è una domenica come tante altre. Alle 10 c'è la messa a San Marco. Sono seduto nella navata sinistra. Non succede nulla fino alla fine, quando le persone incominciano ad uscire. Mi vedo venire sotto Gianluca Tuma. So chi è perché faccio il giornalista. Ho scritto di lui, ma diversi mesi prima per una inchiesta di Roma.



Mi viene sotto, faccia a faccia e mi dice: «Hai visto cosa è accaduto in Francia a chi usa la penna scorrettamente». Resto gelato. Quattro giorni prima a Parigi dei terroristi hanno ucciso diversi giornalisti del quotidiano satirico Charlie Ebdo. Cerco di mantenere la calma e gli dico che uso sempre la penna correttamente e che se ha problemi può venire a parlarne in redazione. Sono pochi secondi. Lui scuote la testa e se ne va. Uscito dalla chiesa vado diretto in Questura e sporgo denuncia.



Scrive oggi il gip «Il giornalista si limitava a citare sul suo quotidiano quanto riportato nell'ordinanza di custodia cautelare essa dal giudice per le indagini preliminari di Roma in cui disponeva al custodia cautelare per Massimiliano Mantovano», e aggiunge «questa indagine comprova in modo evidente la condivisione di interessi economici tra Mantovano e Tuma».



Gli immobili di Corso della Repubblica dove Tuma ha lo studio sono intestati a Mantovano, solo per citarne alcuni. «Per tali motivi appare evidente che Tuma non gradisca che un giornalista possa accomunare il suo nome al Mantovano». E spiega: «Ha tutto l'interesse a che ciò non avvenga, temendo una sua esposizione che possa alterare quel profilo basso che consente il progresso dei suoi affari illeciti».



«Non riusciva nel suo intento - scrivono i pm Spinelli e De Lazzaro e poi il gip Cario nell'ordinanza - per la ferma opposizione della vittima», che poi «si recava il giorno stesso alla Questura di Latina per sporgere denuncia».



Un fatto grave, ieri ha ribadito il procuratore aggiunto Nunzia D'Elia «teso a condizionare la libertà di stampa e la libertà d'espressione, ancor più grave se collegato al fatto di voler limitare la libertà di espressione di chi è addetto a informare l'opinione pubblica».



Sono passati nove mesi. Di questa storia non ho potuto scrivere e ne ho parlato solo con pochissimi amici fidati. Non perché Tuma fosse riuscito nel suo intento di farmi tacere. Mi fu chiesto per non compromettere una indagine, mi dissero. Ora, oggi, capisco molte cose. Ieri, durante la conferenza stampa ne ha voluto parlare anche Tommaso Niglio, il capo della Squadra Mobile: «Per tutelare le indagini ha rinunciato a scrivere una notizia nonostante fosse il suo lavoro per consentire alle indagini di proseguire e di questo lo ringrazio».



Poche parole che però mi ripagano per questo silenzio durato nove mesi, perché il mio compito era ed è questo: raccontare quello che sta accadendo in questa città, raccogliere le informazioni e farle conoscere, anche quelle scomode. Non pensavo all'epoca che con il mio articolo sui rapporti tra Tuma, Di Silvio e Mantovano avessi messo le mani su una delle vicende più oscure e inquietanti del capoluogo.



Ho dovuto aspettare molti mesi, ora ho finalmente potuto raccontare un altro pezzo di questa storia e continuerò a farlo perché è il mio lavoro, perché è la mia vita.