Ilario D’Appollonio: «Quel giorno
sono morto anch’io,
non riuscirò mai a dimenticare»

Ilario D’Appollonio: «Quel giorno sono morto anch’io, non riuscirò mai a dimenticare»
di Raffaella Troili
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Martedì 6 Giugno 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 7 Giugno, 19:15

«Mi hanno ammazzato. Sono quattro anni che non dormo, non vivo più».
È innocente, si è difeso, ha stabilito il pm. Ora Ilario D’Appollonio, 85 anni, può trovare un po’ di pace.
«Non ho retto, a metà udienza sono crollato psicologicamente e ho pianto come un bambino. Spero di trovare un minimo di sollievo, nella mia coscienza so che un ragazzo di 30 anni, un mascalzone sì, ma sempre un uomo, non c’è più».
Ha voglia di ricordare un’ultima volta quella notte di quattro anni fa, era il 29 giugno.
«Stavo dormendo al piano di sopra, era mezzanotte. Mia moglie era sotto a vedere la tv. È scattato l’allarme, non era la prima volta, erano già venuti altri ladruncoli ma avevano desistito. Ho preso la rivoltella dal comodino e sparato un colpo in aria».
Pensava fosse un falso allarme.
«Sì, invece sono sceso, c’erano tre energumeni alti due metri, di cui si vedevano solo gli occhi: uno teneva mia moglie, un altro la imbavagliava, un terzo le puntava la pistola alla tempia. So che un quarto uomo stava fuori».
E lei che ha fatto?
«Ho sparato addosso al muro, uno è scappato, gli altri sono andati in due punti diversi della casa. Ma era buio, c’era solo la luce della tv, ho sparato in aria per intimorire, perché non se ne andavano, poi sono andato da mia moglie, me la stavano ammazzando, la persona più cara che ho, con cui ho vissuto 60 anni... non ci ho visto più, non so chi mi ha dato il coraggio di fare quello che ho fatto, forse mia madre, forse qualche santo. Se non è legittima difesa questa».
Poi sono arrivate le forze dell’ordine.
«Forse c’è un ferito, chiamate un’ambulanza, le ho avvisate, ma dopo un po’ mi hanno detto che non c’era più niente da fare. Mi è passato davanti, si stava andando a chiudere in cucina, è stata una disgrazia».
Come ha vissuto questi anni?
«È stato un incubo, mi hanno tolto dieci anni di salute. Quattro anni con l’immagine di mia moglie in mezzo a quei tre, 24 ore su 24. Speravo di riuscire a dimenticare un poco, sono andato da tutti, anche dallo psichiatra, ma niente da fare. Mi hanno detto solo: se la giustizia ti dà ragione un po’ lo scarichi quel ricordo...».
Ora ha avuto ragione.
«Non finisce tutto con una sentenza. Io ho una coscienza, un’anima, sono una persona perbene, non ho mai ammazzato una mosca. Anche se la legge mi ha dato ragione mi porterò a vita ciò che ho fatto. Ma uno ci si deve trovare, bisogna starci dentro per capire, non lo auguro al peggior nemico. Erano tre montagne. Ci avrebbero ammazzato tutti e due. Ci sarebbero stati due funerali».
Siete rimasti nella villa, suo figlio è tornato a farvi compagnia.
«La sera quando cala il buio inizia il terrore: hai chiuso lì, hai messo il catenaccio, l’antifurto, mi sono fatto una stanza blindata... Dobbiamo riavere il nostro porto d’armi, la nostra P38. L’ho sempre avuta, sul comodino, non l’avevo mai usata».
Da domani come si alzerà?
«Spero di avere il coraggio di vivere un po’, che l’immagine di mia moglie in mezzo a quei tre non mi perseguiti più ma sbiadisca un poco. Sono sollevato, ma l’incubo resta, altri dieci secondi ed era morta, le ho strappato il nastro telato dalla bocca che respirava a fatica. Speriamo di risollevarci, nella vita a 80 anni uno avrebbe tutto il diritto di godersi gli ultimi giorni. Sono quattro anni che non esco a mangiare una pizza. Sono sprofondato nell’abisso, ho voglia di rinascere».

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