La polemica/Non è Gomorra che fa nascere altri camorristi

di Alessandro Orsini
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Mercoledì 8 Giugno 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13:47
Il figlio di un carabiniere non diventa un camorrista vedendo Gomorra così come il figlio di un camorrista non diventa un carabiniere vedendo la serie televisiva Carabinieri. La trasformazione antropologica di un individuo in un criminale è un fatto assai complesso e, almeno agli studiosi di scienze sociali, non risulta che le serie televisive abbiano il potere di trasformare la vita degli uomini.

Se così fosse, la serie Don Matteo, dato il suo successo, avrebbe dovuto provocare una crescita impetuosa dei ragazzi che scelgono il sacerdozio, ma così non è stato. Appare evidente che gli attacchi contro Roberto Saviano sono strumentali e, pertanto, occorre comprendere quali siano le forze sociologiche che hanno trasformato l’autore di Gomorra in uno degli uomini più attaccati d’Italia.

L’ostilità dei politici di professione ha cause complesse. La serie televisiva Gomorra mostra che la criminalità organizzata, avendo avuto la tragica abilità di modernizzarsi, ha promosso una compenetrazione sempre più stretta tra economia legale e economia illegale, dando vita a un tipo di struttura criminale che il nostro ordinamento giuridico non sembra in grado di sconfiggere. Questa è la ragione per cui nessun politico di professione dichiara mai di avere un programma per la “distruzione” della camorra, ma, tutt’al più, di avere una strategia per il “contrasto” alla criminalità organizzata. La psicologia di un popolo si esprime innanzitutto attraverso le parole e le parole dei politici tradiscono la convinzione, radicata nella coscienza collettiva, che la camorra non sarà mai cancellata dalla faccia della terra.

Questa contraddizione, tra l’immensità del problema sociale e l’inadeguatezza della risposta politica, si trasforma, a livello della personalità individuale, in una lacerazione psicologica che produce imbarazzo, disorientamento e, infine, sofferenza. Il fascismo che, alleandosi con Hitler, aveva prodotto la società più brutta del mondo, si era dotato di un ordinamento giuridico che ridusse la mafia ai minimi termini. Il liberalismo, che ha prodotto la società più ricca e libera del mondo, si basa su un ordinamento giuridico che, in settant’anni di storia dell’Italia repubblicana, non ha mai distrutto la camorra. Lo stato di diritto, infatti, garantisce i diritti di tutti gli abitanti della città liberale. E siccome i camorristi hanno la cittadinanza italiana, godono delle medesime garanzie delle persone irreprensibili. I processi per mafia sono pertanto lunghi, costosi e costellati da mille difficoltà perché l’ordinamento italiano impone, per nostra fortuna, di essere il più possibile sicuri che la condanna sarà pronunciata contro un vero camorrista e non contro un innocente.

Anche quando si trovano in carcere, i camorristi sono rispettati nei loro diritti fondamentali, come mostra bene la puntata di Gomorra dedicata al periodo di carcerazione del boss don Pietro Savastano, il quale poteva ricevere le visite dei suoi parenti che utilizzava per impartire ordini all’esterno.
Il 26 maggio 1992, Rudolph Giuliani, sindaco di New York per sette anni, commentava la morte di Giovanni Falcone, affermando che l’unico modo di distruggere la mafia era quello di inviare l’esercito in Sicilia e dichiarare lo stato di guerra, con tanto di pena di morte e la conseguente sospensione delle libertà individuali.
In sintesi, l’opera di Roberto Saviano è lacerante perché mostra una contraddizione irrisolvibile tra il nostro bisogno di sicurezza e il nostro desiderio di libertà che Clifford Geertz, uno dei più grandi antropologi del Novecento, chiamava “antinomia insolubile”. La serie Gomorra ricorda che ci sono decine di assassini, come il personaggio di Ciro “l’immortale”, che si aggirano per le strade di Napoli. Ogni tanto, la polizia riesce ad arrestare uno di loro che però viene subito sostituito da altri aspiranti camorristi. Tutto ciò, corrispondendo al vero, come dimostra il video dell’omicidio di Mariano Bacioterracino dell’11 maggio 2009, produce una profonda sofferenza in quei politici di professione che vorrebbero cambiare questa realtà, ma non sanno da dove iniziare perché non riescono a cogliere la causa profonda da cui ha origine il male. E così, amando Napoli, ma non potendo eliminare la camorra, elaborano una strategia psicologica per lenire la loro sofferenza: se non è possibile distruggere la camorra, è possibile distruggere la credibilità di chi descrive la camorra.
 
L’“anti-savianesimo”, come fenomeno culturale, nasce dal contrasto tra il desiderio ardente di eliminare la camorra e la sua frustrazione permanente. È un problema sistemico che si ripercuote a livello della personalità individuale. La credenza secondo cui, sostituire Gomorra con una serie televisiva colma d’amore, aiuterebbe la lotta contro la camorra, è anch’essa espressione di una sofferenza collettiva, tanto più acuta perché basata sul rifiuto della realtà.
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