Solo nel 2011, l'uomo aveva presentato domanda di asilo politico, quando aveva iniziato ad avere problemi con i documenti, sebbene avesse regolarmente rinnovato il passaporto presso l'ambasciata nigeriana. La sua richiesta era stata respinta dalla 'Commissione per il riconoscimento della protezione internazionalè, e il 'nò era stato ratificato dal Tribunale di Ancona nel 2013, e poi dalla Corte di Appello di Ancona, nel 2015.
Ad avviso dei magistrati di merito non c'erano i presupposti per concedere protezione o asilo a Patrick dal momento che le «persecuzioni asseritamente subite» provengono «non da un soggetto statuale o da responsabili di partiti o organizzazioni che controllano lo Stato ma da un gruppo religioso nei cui confronti vi è una attività di contrasto, seppure non sempre efficace, da parte dello Stato».
Insomma queste condizioni non consentirebbero di appellarsi alla Convenzione di Ginevra e il rinnovo del passaporto dimostrerebbe, invece, «la mancata frattura del legame sociale tra il cittadino straniero e il suo paese di origine». Ma la Cassazione non ha condiviso queste obiezioni e ha ritenuto «fondato» il ricorso di Patrick sottolineando.
Nel loro verdetto gli 'ermellinì - presidente Massimo Dogliotti, relatore Giacinto Bisogni - rilevano che «non è stata adeguatamente valutata la situazione oggettiva e attuale del paese di origine notoriamente interessato da gravi episodi di violenza indiscriminata localizzati in numerose aree e regioni, dal controllo sempre più esteso del territorio da parte di gruppi terroristici e persecutori nei confronti di cittadini di fede cristiana, dall'impotenza o soggezione dell'apparato statuale di fronte a tale situazione».
Ora, la Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, dovrà riprendere in mano il caso di Patrick e 'aprirè alla concessione del diritto a rimanere in Italia per salvaguardare la sua incolumità.
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