Napoli, l'incubo di Giovanna: «Cartelle in faccia e insulti così i bulli mi torturano»

Napoli, l'incubo di Giovanna: «Cartelle in faccia e insulti così i bulli mi torturano»
di Maria Chiara Aulisio
3 Minuti di Lettura
Martedì 4 Aprile 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 5 Aprile, 10:06

Giovanna ha 16 anni, frequenta un liceo linguistico di Secondigliano, è una delle più brave, sempre attenta, parla bene le lingue e adora la storia e la letteratura. Una «secchiona», per dirla alla maniera dei compagni, a cui la sua voglia di studiare non va giù. Da qui l’emarginazione, lo sfottò, la violenza e la solitudine di cui la ragazza è vittima. Non da oggi. La sua storia comincia infatti in terza elementare quando viene presa di mira da un gruppo di bulletti che non le darà tregua fino al termine del percorso scolastico.

Quando hanno cominciato a darti fastidio?

«Me lo ricordo ancora. Era il 14 settembre del 2008, primo giorno di scuola».

Che cosa accadde?

«Cominciarono a prendermi in giro, dicevano che ero grassa, mi sfottevano. Io invece sarei stata felice di stare con loro, mi piaceva divertirmi, scherzare, giocare con le Barbie».


Invece?

«Niente. Quando non mi prendevano in giro mi ignoravano, era come se non esistessi. Manco mi rivolgevano la parola. E forse era meglio così perché altrimenti mi massacravano».

Hai subito anche violenze fisiche?

«Sì, però alle medie. Lì è stato il trauma peggiore. Non vedevo l’ora di concludere le elementari per cambiare scuola, compagni, tutto. Ero convinta che finalmente sarei stata trattata come gli altri. Niente più insulti, angherie e solitudine. Mi illudevo».

Altri atti di bullismo, nuove prevaricazioni anche in prima media?

«Mi prese di mira una ragazzina a cui dava fastidio il fatto che fossi più brava di lei. Cominciò a tormentarmi con la complicità degli altri compagni: si placavano solo quando mi vedevano scoppiare in lacrime. Andare a scuola era diventato un inferno. Al punto tale che cominciai a pensare che il problema fossi io».

Vuoi dire che ti sentivi responsabile di qualcosa?

«Cominciai a pormi domande del tipo “perché ce l’hanno con me?” “Perché sono sempre sola?” “Perché non vado bene agli altri?”».

Quali risposte ti davi?

«Mi addossavo la colpa, “sono un disastro”, pensavo, “sono sbagliata”.
Anche in palestra, nell’ora di educazione fisica, come una stupida speravo di poter giocare come gli altri. Invece no, dicevano che non ero buona a nulla e come al solito mi tenevano in disparte. Ma il peggio doveva ancora venire».

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA