L'analisi/ L’ignoto custodito nell’essere umano

di Matteo Collura
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Lunedì 1 Dicembre 2014, 21:38 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 00:18
La morte violenta di un bambino è notizia che sconvolge sempre.

In ogni parte del mondo essa avvenga, in qualunque circostanza si verifichi. Chi ha visto “Schindler’s list”, il film di Spielberg dedicato all’Olocausto, è possibile ne abbia dimenticato molte scene, ma certamente ricorderà quelle in cui una bambina, il cappottino rosso (l’unico colore in quella pellicola in bianco e nero), viene seguita durante un rastrellamento nazista che la porterà alla morte. Questo non significa che si è indifferenti di fronte all’uccisione delle persone adulte. Questo significa che, in generale, il delitto non è un tabù perfetto come quello che riguarda i bambini, appunto. Eppure anche i bambini, e il piccolo Andrea Loris di Santa Croce Camerina ne è l’ultimo esempio, non vengono risparmiati dalla furia assassina, dall’istinto omicida di esseri umani che chissà quale demonio costringe a infrangere anche quello che abbiamo appena definito il tabù perfetto. È presto per tentare di dare una spiegazione a questo orribile delitto, ed è prudente non lasciarsi tentare da fantasie investigative. Una cosa è certa: chiunque sia stato a uccidere il piccolo Loris, avrà aspetto di persona normale, insospettabile, e tutti ci meraviglieremo quando le foto e le riprese televisive mostreranno questa persona. Ce ne meraviglieremo, perché dimentichiamo – è facile e comodo dimenticarlo – che ogni uomo e ogni donna sulla terra custodisce in sé l’ignoto. Un’altra riflessione viene da fare a proposito di questo per ora inspiegabile assassinio. E riguarda il luogo dove il delitto è avvenuto, in una zona della Sicilia tradizionalmente lontana dalla violenza di cui si è abituati in altre parti dell’isola. Lontana, la provincia di Ragusa - quella che fino all’inizio del secolo scorso fu denominata Contea di Modica - dai selvaggi feudi dove la mafia è nata e ha acquistato forza. E qui è il caso di contribuire a sfatare un bugiardo mito siciliano, quello secondo cui “i bambini non si toccano”. È vero, ci sono pochi altri luoghi al mondo dove, come in Sicilia, il bambino è considerato più sacro del sacro, protetto, sorvegliato in maniera asfissiante dai genitori, specialmente dalle madri. Non è da credere che nel caso del piccolo Loris ci possa in qualche modo entrare la mafia, anche se – lo ripetiamo – è ancora presto per trarre conclusioni. Ma questo non vuol dire che la mafia rispetti i bambini. Giuseppe Di Matteo, nel 1996 ucciso e sciolto nell’acido a 15 anni dopo venticinque mesi di infame prigionia, lo dimostra. Come anche il pastorello Giuseppe Letizia, fatto fuori a 13 anni, perché nelle campagne di Corleone - era il 1948 - aveva assistito all’uccisione del sindacalista Placido Rizzotto. La crudeltà dei mafiosi, come anche la loro vigliaccheria, non ha limiti, ma questo non autorizza a tirarla in ballo sempre e comunque. Ed è questo che fa brancolare nel buio gli inquirenti e noi che siamo chiamati a commentare questo tristissimo episodio. La Sicilia di oggi non è quella raccontata da Verga nella novella “Rosso Malpelo”, e non è certo l’Inghilterra vittoriana narrata da Dickens, in cui gli esseri più indifesi, vale a dire i bambini orfani, venivano arruolati da ladri e sfruttatori per farne loro schiavi. La Sicilia di oggi è specchio del mondo progredito, anche se deformato dal sottosviluppo e da un’idea di Stato e del diritto che ancora può dirsi tribale.



In Sicilia, purtroppo, accade quel che accade altrove, viene semplicemente da dire pensando al cadaverino di Loris. La Sicilia è uno dei tanti luoghi del mondo dove è difficile sfuggire al consumismo e alle sue imprevedibili conseguenze. Il luogo dove, 43 anni fa, a Marsala, tre bambine (due sorelle e una loro cuginetta) furono rapite e uccise da un maniaco che, subito dopo l’arresto, fu definito “mostro”, e che tale rimane nella memoria di chi ha gli anni per ricordare. E che farebbe bene a ripetere a se stesso che ogni uomo e ogni donna sulla terra custodisce in sé l’ignoto.