Spesso, come ricorda Giovanna Scasellati, direttrice del Reparto Ivg dell'ospedale San Camillo di Roma, «sono proprio le donne a richiederla e comunque quella attualmente in uso dura pochi minuti». Come ricorda la relazione stessa, però, e come consiglia l'Organizzazione mondiale della Sanità, è «da preferire» l'anestesia locale «per minori rischi per la salute della donna, minor richiesta di analisi, minor impegno di personale ed infrastrutture e di conseguenza minori costi». E non è l'unica criticità emersa. L'altra riguarda il metodo di somministrazione della Ru 486 per la quale è previsto un ricovero di tre giorni. Secondo la relazione, il 76% delle donne che ricorre alla pillola abortiva richiede le dimissioni volontarie, prima dello scadere dei tre giorni. «Visto che la prescrizione non viene rispettata e non ci sono conseguenze per questo - osserva la deputata Pd - chiederemo una verifica al Ministero della Salute, per capire se sia realmente necessaria». A dire di 'no' sono in molti. In primis Silvio Viale, responsabile del Servizio 194 dell'Ospedale Sant'Anna di Torino e promotore dell'introduzione, in Italia, della Ru486, il cui utilizzo tra il 2010 e il 2011 è raddoppiato passando dal 3,3% delle interruzioni volontarie al 7,3%.
«È un'ipocrisia, una norma inutile e vessatoria. Non c'è nessun motivo medico per tenere la donna in ospedale». L'aborto farmacologico a base di Mifepristone e Prostaglandine, che non richiede anestesia e non presenta i rischi dell'aspirazione, inoltre, spiega Viale «in tutti i Paesi al mondo è registrato come ambulatoriale o domiciliare. Nessuno butta via i soldi in momento di crisi e taglio di posti letto». Altro tratto da approfondire per Elena Carnevali del Pd, è «il disinvestimento che c'è stato negli ultimi anni nei confronti dei consultori pubblici»: nel 2011 erano 2110, quasi un centinaio in meno rispetto al 2010. «Tra i lati positivi - rileva ancora Carnevali - il calo generale delle interruzioni volontarie di gravidanza»: nel 2012 sono state 106 mila, cioè -5% rispetto al 2011 e -55% rispetto al 1982.
«Purtroppo resta alto il numero delle straniere e così come quello dei medici obiettori, pari al 70%, il 17,3% in più di 30 anni fa». Il problema prosegue, «non è solo il numero, quanto la loro distribuzione». A livello regionale si toccano punte dell'88,4% in Campania, 87,9% in Molise, 85,2% in Basilicata, «rendendo, in alcune strutture, difficile abortire».
© RIPRODUZIONE RISERVATA