Eccolo, Roberto Vannacci. Voce squillante, come quelle dei sergenti all’alzabandiera mattutino. «Io candidato con la Lega? Con Matteo Salvini? Ci sto pensando!». Che ci può fare, il generale e già Parà della Folgore? Non è colpa sua, dopotutto, se di colpo il telefono squilla all’impazzata, i cronisti lo rincorrono famelici in cerca di un nuovo cenno, una battuta qualsiasi.
È stato Matteo Salvini questa volta a ripuntare i riflettori su Vannacci, autore del best-seller “Un mondo al contrario”, record di incassi e polemiche.
L’ATTESA
Fa niente se le sue tesi controcorrente sui diritti civili, le persone di colore e il politically correct hanno scatenato un putiferio. Passi pure il procedimento disciplinare a cui è sottoposto il generale, su ordine del ministro della Difesa Guido Crosetto. Poca cosa, quando si vendono decine di migliaia di copie e si affollano sale conferenze, tendoni e auditorium in giro per l’Italia. Ora sono lettori. Chissà che domani non diventino elettori. L’idea non piace più di tanto a Vannacci. «Speriamo di no. Un lettore legge un libro per piacere. Un elettore dà il suo voto a qualcuno in cui crede, in cui davvero si rivede: è diverso».
E qui davvero sembra uscir fuori l’inesperienza politica del generale della Folgore. In questa convinzione onesta, perfino troppo, del voto come atto purissimo di fede verso chi è votato. Come un soldato che obbedisce agli ordini del suo generale e si lancia nella mischia.
Di politica in sé Vannacci preferisce non parlare. Perché è appunto un soldato, spiega. Sicché quando gli chiediamo cosa ne pensa dei nuovi aiuti all’Ucraina che stamattina Crosetto annuncerà alla Camera, un tema spinoso per molti leghisti, il generale risponde d’ufficio: «Sono un militare, seguo le indicazioni del governo e in questa veste non mi sono mai permesso di metterle in discussione». I saluti romani di Acca Larentia? «Non mi esprimo su queste questioni». In verità di politica si intende Vannacci, eccome. E si concede un piccolo strappo al silenzio, volando alto. L’Europa? «Un’entità dalla quale non si può trascendere. Ma deve essere configurata in base ai nostri interessi nazionali. Un’Europa vicina». Se lo legge Salvini, prende il primo volo per Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso - dove il Parà sta presentando il suo bestseller - e gli chiede di firmare subito per la corsa di giugno.
Insomma, Vannacci a Bruxelles: si può fare. Resta solo un dubbio. Non si annoierà in quella città fredda e piovosa, il veterano spezzino che nei suoi lunghi anni di servizio si è paracadutato sulle montagne dell’Afghanistan e ha sfidato il deserto iracheno? «Una città grigia dice? Ma no, anche Bruxelles è una città piena di cose interessanti. E non credo che la vita di chi fa quella professione sia così monotona. Vero?».