Sulla riforma del premierato, Giorgia Meloni punta al doppio passaggio tra Camera e Senato in prima lettura entro le elezioni europee del giugno 2024. Così facendo, sarebbe in teoria a metà dell'opera. Costituzione alla mano, infatti, il procedimento (doppia approvazione tra Montecitorio e Palazzo Madama) per le riforme costituzionali va ripetuto per «due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi» (articolo 138).
Il procedimento
Rimarrebbe però un ultimo ed eventuale passaggio, in passato fatale un paio di volte. L'articolo 138 prevede che se la legge non è approvata a maggioranza dei due terzi, entro tre mesi «un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali» possono chiedere un referendum popolare, dove peraltro non vigono quorum di sorta. Tra le opposizioni un quinto di contrari si troverà senza problemi, e quindi è scontato pensare che al referendum si arriverà. Soprattutto al Senato, infatti, i numeri della maggioranza sono più risicati e i sette senatori di Italia viva (Matteo Renzi è l'unico esponente dell'opposizione favorevole alla riforma) non sembrano sufficienti per avere la maggioranza di due terzi necessaria a scongiurare il referendum.
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L'intenzione della premier Giorgia Meloni sarebbe a questo punto quella di accelerare, anche per evitare di ripetere quanto accaduto nel 2016, con il referendum incentrato sulla persona di Matteo Renzi più che sulla riforma in sè. Quella volta accadde per espressa volontà dell'allora premier e leader Pd: il voto sulla riforma cadeva infatti a metà strada tra le europee del 2014 e le elezioni politiche del 2018.
I prossimi passi
Nel frattempo Azione, Pd, M5S, Avs e Più Europa confermano la bocciatura dell'elezione diretta del premier. La bozza in cinque punti arriverà venerdì in consiglio dei ministri per poi cominciare (probabilmente) l'iter in Parlamento dalla Camera, dato che il Senato è già impegnato con l'autonomia. Nel testo, c'è un riferimento (altro inedito nella Costituzione) anche alla legge elettorale, prevedendo un premio di maggioranza al 55%. Se sulla riforma costituzionale i blocchi sembrano granitici, possibili margini potrebbero esserci per giungere a una legge elettorale condivisa con le opposizioni, magari superando i listini bloccati per ridare potere agli elettori.