Avrebbe voluto più tempo Giuseppe Conte per comporre la “quarta gamba”, ma al termine del vertice di maggioranza prende atto che non ce ne è molto e che già la settimana prossima i numeri in Aula potrebbero mancare. Nella riunione - alla quale per il Pd hanno partecipato sia il segretario Zingaretti che il capodelegazione Franceschini, per i 5S il ministro Bonafede e il reggente Crimi e per Leu il ministro Speranza - Conte si è mostrato sicuro di riuscire a rafforzare la sua maggioranza, e continua a sbarrare la strada ad Italia Viva convinto che l’alternativa al suo tentativo sia solo il voto anticipato.
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L'asticella
L’obiettivo è ora quello di formare un “gruppo-Conte”, anche con un numero minimo di senatori provenienti da tutti, o quasi, gli schieramenti, sicuro che poi genererà una slavina che potrà rafforzarlo ben oltre l’asticella dei 170 posta dal Pd per dormire sonni tranquilli.
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Palazzo Chigi cerca 12 senatori
Da Palazzo Chigi si va quindi alla caccia di una dozzina di senatori da raccogliere in un “gruppo-Conte” in modo da rendere più facile la trattativa per i posti di governo che verranno distribuiti solo dopo. Per ora da Palazzo Chigi si nega che siano state fatte promesse. Il riferimento è forse diretto al senatore Ciampolillo che già si sente ministro dell’Agricoltura. Il terreno di “caccia” non ha confini ma gli obiettivi privilegiati sono ancora i centristi di Cesa e Berlusconi. Ma i primi non sembrano disposti per ora a mollare. Antonio Saccone, senatore Udc più volte tirato in ballo lo dice anche con una certa stizza: «Non ci muoviamo». Dentro FI c’è sbandamento per la decisione di Maria Rosaria Rossi, ma se è vero che la scelta è legata ai cascami del processo Ruby-ter e non politica, è possibile che possa rientrare. Dopo aver girato l’Italia con il film su Bettino Craxi è probabile che anche il socialista Nencini possa avere qualche difficoltà a sottoscrivere il lavoro del ministro Bonafede.
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La posizione del Pd
Il voto sullo scostamento di bilancio e il decreto Ristori raccoglierà tra oggi e domani una maggioranza larghissima non solo per la promessa di votare fatta da Matteo Renzi prima dello strappo, ma anche per l’apporto delle opposizioni. Anche se qualcuno nel Pd vorrebbe assumere i due passaggi come conferma dell’esistenza della maggioranza, è indubbio che il percorso per arrivare a dare stabilità all’esecutivo sia ancora tutto in salita. Nel Pd non tutti sono però sulla linea del rimpasto e chiedono a Conte di mettere mano ad un “ter” con tanto di dimissioni, reincarico e nuovo passaggio di fiducia. Il premier non ne vuol sapere e l’ala governista dem è con lui anche per evitare che qualcuno della pattuglia Pd ci rimetta la poltrona o venga declassato.
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A sera i dem si ritrovano. Franceschini e Zingaretti raccontano a Delrio, Marcucci ed Orlando dei tentativi di allargare la maggioranza e di procedere ad un rimpasto, ma non ad un ter. I due capigruppo, e lo stesso Orlando, storcono il naso per la campagna acquisti “random” di Conte e per il “no” di Conte ad un nuovo governo e ad un nuovo programma che avrebbe dato il senso al Paese di una vera ripartenza. Inoltre, «meglio trattare con Forza Italia sventolando la legge elettorale proporzionale che permettere a Conte di farsi prima i gruppi e poi, inevitabilmente, il partito».
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