Autonomia, bluff svelato: «Conviene solamente alle Regioni del Nord»

Tutte le criticità del ddl Calderoli emerse dopo quasi sessanta audizioni in Senato

Autonomia, bluff svelato: «Conviene solamente alle Regioni del Nord»
di Andrea Bassi
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Domenica 25 Giugno 2023, 07:34 - Ultimo aggiornamento: 09:03

Dopo quasi sessanta audizioni parlamentari sull'autonomia differenziata che hanno coinvolto istituzioni come la Banca d'Italia, associazioni datoriali come Confindustria, authority di controllo come l'Ufficio Parlamentare del Bilancio, esperti di diritto costituzionale ed economisti vari, l'unica scelta sensata sarebbe quella di riporre il disegno di legge Calderoli in un cassetto. Le critiche ad un progetto che rischia di disarticolare il Paese sono state generali e condivise. Difficile, davvero difficile, ignorarle.

Ma c'è un ultimo dato, emerso ai tempi supplementari delle audizioni, sfuggito finora ma che è centrale nel dibattito. Soprattutto perché smonta completamente il racconto che l'autonomia differenziata non è disegnata per il Nord, ma serve a tutto il Paese per "responsabilizzare" gli amministratori locali sulla spesa pubblica. È la retorica del «Sud piagnone» ricordata da ultimo dal ministro, appunto del Sud, Raffaele Fitto all'assemblea dei giovani industriali a Rapallo.

IL VELO CADUTO

Che l'autonomia differenziata sulle 23 materie oggi gestite dallo Stato possa essere concessa a tutte le 15 regioni ordinarie è soltanto un bluff. L'autonomia la può ottenere, e se il progetto Calderoli non sarà archiviato, la otterrà, soltanto il Nord. A togliere il velo da questa finzione è stato l'Ufficio Parlamentare di Bilancio. Un paio di giorni fa ha depositato in Commissione Affari Costituzionali del Senato un poderoso documento, ben 51 pagine, che per la prima volta ha provato a rispondere compiutamente a una domanda centrale del progetto autonomista: quali Regioni hanno davvero abbastanza soldi per gestire in proprio i servizi che oggi dispensa lo Stato? O detto in maniera ancora più precisa, chi ha abbastanza capienza di gettito?
Si tratta di un passaggio che vale la pena di chiarire bene. Le Regioni per gestire le materie che oggi appartengono allo Stato chiedono che insieme ai servizi possano trattenere dei "pezzi" di tasse, Irpef, Iva e Ires, raccolti nel loro territorio. L'idea è: mi prendo i servizi e li pago con i soldi dei miei cittadini. Soldi che, ovviamente, sottraggo allo Stato centrale e alle sue politiche per il resto del Paese.

E qui sorge il problema.

Più sono ricchi i cittadini, più tasse versano, più facile sarà ottenere l'autonomia e gestire le materie perché l'aliquota di compartecipazione alle tasse dello Stato sarà abbastanza capiente da finanziare tutti i servizi trasferiti. Ma più il pezzo di tasse che devo lasciare alla Regione cresce, spiega l'Ufficio Parlamentare di Bilancio, più sarà difficile per quella Regione chiedere forme di autonomia. Detto in altri termini, per alcuni territori l'autonomia rischia di essere troppo cara. Banalmente non se la possono permettere.
Quali sono questi territori? Tutte le Regioni del Sud e diverse del Centro. Per capirlo basta guardare una semplice tabella pubblicata all'interno del rapporto dell'Ufficio Parlamentare del Bilancio. Il totale del gettito dei tre tributi che dovrebbero finanziare regione per regione l'autonomia, è di 241 miliardi di euro. Ma questa somma non è distribuita ugualmente in tutta Italia. Di questi 241 miliardi ogni cittadino del Paese versa in media 4 mila euro. Ma si passa da un massimo di 5.500 euro a un minimo di 2.200 euro. Tutte le Regioni del Nord sono sopra la media. Nel Centro si salvano Lazio ed Emilia Romagna e, per un pelo, la Toscana. Tutto il resto d'Italia sta sotto. Per comprendere cosa questo voglia effettivamente dire, l'Ufficio Parlamentare del Bilancio fa un altro esercizio. Prende in considerazione una soltanto delle 23 materie che le Regioni autonomiste possono chiedere: l'istruzione. Per gestire questa singola materia, alla Lombardia basterebbe impegnare poco più del 10 per cento del gettito fiscale di tutte le imposte raccolte sul suo territorio.


La Calabria, se mai volesse gestire in proprio l'istruzione, dovrebbe "spendere" il 40 per cento dei tributi dei suoi cittadini. È evidente, si legge nel dossier dell'Upb, «che vi sono Regioni a statuto ordinario per le quali la capienza del gettito è limitata e tale da rappresentare un ostacolo a eventuali richieste di autonomia». È il vecchio detto che senza soldi non si cantano messe. L'autonomia bisogna potersela permettere, le Regioni del Sud non possono. E questo a prescindere dalla buona o cattiva amministrazione.

IL PASSAGGIO

Ma a ben vedere che l'autonomia vada "riservata" solo al Nord, sono gli stessi "ideologi" del progetto leghista a sostenerlo. Come per esempio Mario Bertolissi, il capo della delegazione che tratta l'autonomia del Veneto con lo Stato. Ascoltato anche lui in Commissione Affari Costituzionali del Senato ha detto che è «privo di fondamento ritenere che tutte (le Regioni, ndr) pretendano ed ottengano tutto. Dal momento che», ha aggiunto, «l'autonomia cammina con le gambe dell'autonomista, che ne sente la necessità. O», è la tesi di Bertolissi, « si è psicologicamente, culturalmente e per tradizione autonomisti, oppure non lo si è». Dunque le uniche tre regioni «veramente interessate» sono il Veneto, la Lombardia e l'Emilia Romagna.


A loro dunque spetta chiedere e ottenere autonomia dallo Stato, non a tutti gli altri. Che del resto, come ha ben spiegato l'Ufficio Parlamentare del Bilancio, nemmeno se lo potrebbero permettere. Ma c'è anche una ragione economica profonda nelle richieste di queste tre Regioni. La loro spinta propulsiva, ha ricordato qualche giorno fa l'Istat, è finita. Non sono più la locomotiva d'Italia. Arretrano e perdono terreno in Europa cadendo nelle classifiche della ricchezza pro-capite. Sentono la necessità di sganciare il resto del Paese considerato una zavorra che frena la loro crescita. «Non è più concepibile l'idea di uno Stato accentratore», ha detto in Senato Elena D'Orlando, altro membro della delegazione trattante del Veneto nominata presidente della Commissione tecnica che dovrà determinare i fabbisogni standard per tutte le Regioni, «proprio perché la prassi di governo della società, dei mercati, della finanza, che si esplicano in un contesto sovranazionale, e spesso globale, hanno già da tempo ridimensionato lo Stato, declassandolo ad essere un singolo anello, pur importante, di una lunga catena. (...) Un'erosione della sovranità statale apprezzabile, quindi, non solo nella prospettiva esterna dell'ordinamento statale, ma anche nella prospettiva interna, che spinge verso forme nuove di territorializzazione del potere di tipo centrifugo». Il potere va dato alle Regioni. Quelle del Nord ovviamente.
 

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