Autonomia, beffa sui "nuovi" fondi: erano già previsti nel Pnrr

Infrastrutture e prestazioni: non ci sono nuove risorse per colmare i gap

Autonomia, beffa sui "nuovi" fondi: erano già previsti nel Pnrr
di Andrea Bassi
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Domenica 8 Gennaio 2023, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 07:52

Addolcire la pillola. Promettere che qualcosa per le altre Regioni si farà, purché l’autonomia di Veneto e Lombardia possa andare avanti senza incontrare ostacoli. Ma le misure inserite nella terza (e per ora ultima) bozza della legge attesa nelle prossime settimane in consiglio dei ministri, appaiono fumose su due dei principali passaggi che dovrebbero garantire servizi uguali a tutti i cittadini italiani a prescindere da dove vivono (i cosiddetti Lep, i livelli essenziali delle prestazioni), e la “perequazione” dei territori, ossia dotazioni di infrastrutture quantomeno simili. 

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LE CRITICITÀ
Partiamo da questo secondo punto. Nella nuova bozza sull’autonomia, a sorpresa, è stato inserito un articolo, il dieci, sulle «misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale».

Tema vecchio. Si trascina dalla legge sul federalismo fiscale del 2009. Quella che diceva che lo Stato avrebbe dovuto mettere dei soldi per coprire i divari di infrastrutture tra il Nord e il Centro-Sud. Non è possibile che per percorrere i 500 chilometri che separano Roma da Milano in treno ci si mettano ormai meno di tre ore e per percorrere la stessa distanza da Roma a Lecce ci vogliano più di 7 ore. Per decenni gli investimenti in infrastrutture hanno spaccato in due il Paese. Come interviene la nuova bozza su questo tema? Provando a creare una sorta di fondo di perequazione mettendo a fattor comune tutte le risorse che già oggi ci sono: il Pnrr, i fondi di coesione, e l’attuale fondo di perequazione infrastrutturale mai attivato.

Insomma, qualche semplificazione e qualche sburocratizzazione, ma niente di più. Nemmeno un euro aggiuntivo alle risorse che già oggi appartengono al Mezzogiorno e che non di rado vengono dirottate verso le Regioni del Nord. Val la pena allora aprire qualche parentesi. Un fondo di perequazione, come detto, già esiste. È stato creato nel 2021 e finanziato con 4,6 miliardi. Sembrano tanti, ma sono briciole, visto che si tratta di soldi spalmati su un decennio.  Eppure nemmeno un euro di questo fondo è stato, fino ad oggi, speso. Manca, come spesso accade, un ultimo atto normativo per attivare le risorse: l’indicazione delle priorità da finanziare con questi soldi. La bozza sull’autonomia, insomma, non è la prima legge che mette sulla carta il superamento dei divari infrastrutturali. Ma fino ad oggi di concreto si è fatto poco. 


GLI INVESTIMENTI
Nella capacità di ottenere soldi, va detto, le Regioni del Nord sembrano avere una marcia in più. Prendiamo quanto è accaduto con i fondi della rigenerazione urbana, 3,3 miliardi finanziati dal Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza.  Nei bandi era stato inserito un criterio di riparto difficile da contestare: la vulnerabilità sociale. Più soldi, insomma, a chi ne ha di meno. Finalmente una livella. Il risultato è stato che la maggior parte delle risorse sono state assegnate ai Comuni del Centro-Sud.  Il Nord è insorto. Ed è riuscito ad ottenere quasi immediatamente una “compensazione”: 900 milioni trovati sull’unghia per riequilibrare gli stanziamenti. Quelle stesse compensazioni e quei riequilibri che il Centro-Sud non riesce invece ad ottenere su capitoli ben più importanti da decenni. Dunque, in materia infrastrutturale, l’unica “dote” della legge sull’Autonomia porta alle Regioni del Centro-Sud, è una nuova “governance” nella gestione dei fondi. Rischia di essere solo una foglia di fico per accelerare le richieste di Veneto e Lombardia.


I SERVIZI
L’altro tema riguarda l’uguaglianza dei servizi forniti ai cittadini attraverso i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Anche qui le promesse sulla carta sono molte. Che i Lep, attesi da decenni, arriveranno in un anno. Ma per far partire l’autonomia di Veneto e Lombardia, basterà «determinarli», non finanziarli. Si potrà dire, per esempio, che un bambino delle elementari di una regione del Centro o del Sud ha diritto, come un ragazzino del Nord, ad avere il tempo pieno, una mensa o una palestra. Ma senza però stanziare i soldi per assumere gli insegnanti che servono o per costruire le strutture. A tutto questo si penserà poi, con le future leggi di Bilancio, quelle nelle quali i partiti si accapigliano per dividersi doti sempre più insufficienti per mille altre promesse. L’autonomia disegnata dall’ultima bozza insomma, per le regioni centro meridionali assomiglia a una casa di carte. 
 

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