Gigi Riva, oggi i funerali solenni a Cagliari: ieri l'abbraccio della Sardegna alla camera ardente

Folla allo stadio per il saluto al mito della squadra sarda e della Nazionale

Gigi Riva, oggi i funerali solenni a Cagliari: ieri l'abbraccio della Sardegna alla camera ardente
di Nicola Pinna, nostro inviato a Cagliari
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Mercoledì 24 Gennaio 2024, 10:11 - Ultimo aggiornamento: 18:30

Si recita un rosario laico di fronte alla salma del pontefice massimo del gol. Al cospetto della più osannata divinità del pallone, quel mito che tutti qui credevano immortale, la rima che si ripete non è certo quella del "Padre nostro". Sembra sì una preghiera bisbigliata ma è la formazione di quel Cagliari che non aveva rivali e che la morte di Gigi Riva consegna oggi alla pagina più bella della storia: «Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva». L'hanno imparata anche i bambini, figli di papà che nel 1970 non erano nati neanche loro, perché per i sardi è questa la poesia più importante da recitare a memoria. I versi dell'Iliade del calcio, che nell'isola ha ribaltato la storia, fatto assaporare il riscatto, dimostrato che la periferia può finire al centro e che forse non esiste un destino impossibile da ribaltare. «Con lui anche noi sardi abbiamo avuto il nostro posto nel mondo, eravamo in un angolo e siamo diventati protagonisti - dicono commossi Luigino e Giovanna, partiti da Nuoro di primo mattino per arrivare puntuali all'apertura della camera ardente - Ha fatto più della politica e non ci ha mai tradito. Per dirgli il nostro ultimo grazie siamo disposti a star qui fino a domani mattina». Massimo, Alberto e Antonio si sono messi in macchina da Teulada, un luogo che della Sardegna rappresenta un altro simbolo, quello dell'eterna battaglia per le servitù militari: «Ci rappresentava, era il nostro simbolo migliore. Noi siamo cresciuti così, con il mito di Gigi».

 

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La coda di persone

La Sardegna è tutta qui, quasi in ginocchio, tra il cemento armato del Sant'Elia che cade a pezzi e i tubi Innocenti dello stadio nuovo che doveva essere provvisorio ma che in funzione ci rimarrà ancora per molti anni.

Quando è buio e il maestrale si è fatto insopportabile c'è ancora un chilometro di coda, tra la tribuna centrale e la curva nord. «Ho visto tutti i suoi gol - ricorda in lacrime Salvatore Mastino, che nel 1970 aveva solo 16 anni - Ero tra quelli che hanno invaso il campo il giorno dello scudetto ma se qui c'è tutta questa gente non è solo per lo sportivo o per le vittorie che ha ottenuto. Noi siamo qui per l'uomo, per la sua umiltà, per il suo coraggio e l'onestà». Dentro, nella camera ardente, tutti vorrebbero fare una foto, ma le immagini che per sempre dovranno rimanere sono quelle delle rovesciate, delle interviste e degli abbracci. I figli da una parte e i compagni di squadra dall'altra, in una saletta dove rossoblu sono anche le sedie. Oscar è il nipote che a Gigi assomiglia di più e oggi si ritrova a consolarli lui quei tifosi che alla notizia non si sono ancora arresi: «Nessuno si vuole rassegnare all'idea che un mito come lui potesse morire. Ma meno male che mia mamma ci ha già lasciati: sarebbe stato troppo per lei vedere qui oggi zio Gigi. Anche io da ragazzino ho giocato a calcio, ma il gene del bomber non l'ho avuto». Oggi pomeriggio nella basilica dedicata alla Madonna di Bonaria, che i sardi hanno eletto a patrona massima, il funerale di Gigi Riva (solenne, per decisione del governo) sarà un abbraccio di popolo. Nella piazza Dei Centomila che qui ha accolto tutti i Papi. Ci sarà il ministro dello sport Abodi, la delegazione della Nazionale attuale, il ct Spalletti, e molti dei campioni che del calcio italiano hanno scritto pagine importanti: da Buffon a Peruzzi, da Cannavaro, da Perrotta a Tardelli e ovviamente il barbaricino Gianfranco Zola.

 

 

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Una maglia da un quintale

Quelli di allora, oggi non si danno pace. «Avevo 16 anni e mezzo, vidi Riva per la prima volta e gli diedi del lei - ricorda Renato Copparoni, il portiere che parò un rigore a Maradona - Lui si mise a ridere e mi disse: chiamami Gigi». Un altro Gigi, l'attaccante Piras, di Rombo di tuono prese il posto dopo il ritiro: «Quella maglia, vi assicuro, pesava un quintale». Da un giorno all'altro nel cuore dei sardi, che non sono solo calciofili, qualcosa è cambiato. Il Gigirriva, che tutti sempre pronunciavano così, attaccato e con la doppia erre, oggi è diventato solo "Gigi". L'uomo della porta accanto, il campionissimo che però viveva tra noi, facile da incontrare e abbracciare, è ora una specie di divinità. Elevato, santificato, senza quel burocratico cognome. Tutti hanno qualcosa da dire. E nessuno tira dritto davanti a quella bara circondata da rose rosse e blu. Basta un secondo, per una carezza, un bacio o una lacrime. «Ho guidato due ore per arrivare qui, ho preso un giorno di ferie - dice Marco Naitana, partito da Bosa insieme a due amici - È stato un esempio e sfidare questo vento è il minimo che potessimo fare per dirgli grazie». Nel giorno delle lacrime collettive il cielo ha restituito quello che Gigi Riva aveva scelto di godersi per la vita intera: il sole, che anche d'inverno fa brillare la Sella del diavolo, e il vento. All'ora del tramonto nella zona di Sant'Elia passano i fenicotteri, che tra gli stadi e la città hanno creato il loro paradiso rosa. E nelle ore del lutto collettivo l'aereo che Ita aveva intitolato a Gigi Riva non ha lasciato la pista: fermo da almeno ventiquattr'ore perché in cielo di Rombo di tuono ce ne può essere solo uno. Dire che Cagliari si è fermata non è il solito luogo comune. E bastava passare dal mercato di San Benedetto a metà mattina: abolite le solite urla dei pescivendoli, fruttivendoli commossi e macellai che appendevano le vecchie foto della squadra. «Noi - dicono al bancone del pesce - abbiamo bene capito i suoi silenzi. Era come noi e per questo ci sembrava strano che fosse nato in Lombardia».

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