Cristiana Capotondi è Margherita Hack: «Ho detto no a tante offerte per scegliere ruoli che mi somigliassero. I maschilisti? Sconfiggerli con l'ironia»

«Oggi le donne o studiano da scienziate o si fanno una famiglia»

Cristiana Capotondi è Margherita Hack: «Ho detto no a tante offerte per scegliere ruoli che mi somigliassero. I maschilisti? Sconfiggerli con l'ironia»
di Gloria Satta
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Giovedì 29 Febbraio 2024, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 07:54

Un nuovo personaggio si aggiunge alla galleria di donne forti e realizzate portate sullo schermo da Cristiana Capotondi: è Margherita Hack, la famosa astrofisica scomparsa a 91 anni nel 2013. In Margherita delle stelle, film-tv diretto da Giulio Base e in onda su Rai1 il 5 marzo (produzione RaiFiction e Minerva Pictures), l’attrice interpreta la scienziata dagli anni del liceo, vissuti sotto il fascismo, fino alla vecchiaia mettendo in primo piano la sua curiosità intellettuale, l’ambizione, le battaglie contro il maschilismo, i successi resi possibili anche dall’educazione libera e anticonvenzionale ricevuta dai genitori (Sandra Ceccarelli e Cesare Bocci) e dal sostegno del devotissimo marito Aldo (Flavio Parenti). Una storia esemplare di empowerment femminile per Cristiana, 43 anni e una bimba di 16 mesi, aspetto delicato alla Sissi (uno dei suoi ruoli più popolari) e volontà di ferro che l’ha portata a diventare imprenditrice culturale e a sfondare anche nello sport: è vice presidente della Lega Pro e capo delegazione della Nazionale Italiana di calcio femminile. Il film è il suo ritorno in tv dopo 10 anni. 


Cosa sapeva di Margherita Hack?
«La conoscevo come scienziata e divulgatrice, la consideravo una possibile senatrice a vita. Ha coronato la propria ambizione in un’epoca in cui la scienza bandiva le donne e non ha mai rinunciato all’ironia. Come il suo telescopio puntato sulla stella giusta, Hack ci invita a incanalare le energie nella direzione che ci è connaturata. Ha lasciato a me, neo-mamma, la consapevolezza delle responsabilità che noi genitori abbiamo verso i figli». 
Oggi le donne hanno lo spazio che meritano? 
«Alcune, come Fabiola Gianotti alla guida del Cern, ricoprono ruoli chiave. E sempre più ragazze sono interessate alle materie scientifiche, ma solo fino ai sedici anni: si dirottano poi sugli studi umanistici forse perché si rendono conto che una carriera in quella direzione non si concilierebbe con la vita familiare. Inoltre l’Italia non è un Paese per scienziati ma tra i cervelli in fuga ci sono anche tanti uomini». 
E lei come affronta il mondo ultra-maschilista del calcio?
«Con ironia, gentilezza e comprensione.

Sono le armi fondamentali per far capire agli uomini come le donne sono diventate e come funzionano: certi comportamenti maschili nascono dal passato in cui le femmine erano mogli e madri». 

Esistono altri mariti comprensivi come Aldo, il ”moglio” che si annullò per appoggiare la carriera di Hack?
«Un punto di forza del film è proprio la storia d’amore tra Margherita e il marito che, nel nome della complicità e dell’assenza di egoismo, permise all’astrofisica di diventare quello che è stata. Mentre oggi la cronaca ci riporta tante storie di coppia simili a carneficine».
A lei è capitato di venire pagata meno di un collega uomo?
«Il gap dei compensi esiste ancora ma, a differenza del mondo imprenditoriale, nell’arte è più difficile quantificare il valore di una prestazione. La battaglia riguarda comunque l’intero mercato del lavoro. Noi attori, che amiamo guardare il nostro orticello, rappresentiamo un campione sociale piccolissimo. Le battaglie, e parlo anche del #MeToo, riguardano tutti, anche gli sconosciuti». 
Perché ha deciso di fare teatro portando in tournée il monologo di Bonini “La vittoria è la balia dei vinti”? 
«Per costruire un rapporto con il pubblico diverso, senza filtri. E per poter affrontare quella preparazione approfondita che i ritmi veloci del cinema non consentono». 
Cosa chiede oggi alla sua carriera? 
«Ruoli come quello di Margherita Hack che mi permettano di portare in luce dei temi, come l’affermazione femminile, in linea con i miei valori».
Quale considera il suo successo più grande?
«La coerenza tra il lavoro e la mia vita. Ho sempre scelto, a costo di rinunciare a offerte intriganti, dei ruoli che mi somigliassero. C’è chi recita per perdersi in un’altra esistenza. Io voglio trovare me stessa per capirmi meglio e magari migliorarmi grazie ai miei personaggi». 
Non rischia di essere una gabbia? 
«Nella vita ce ne sono tante e quella degli attori è dorata. Tanti non reggono e lasciano il mestiere. Io no, sono una che resta». 

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