Felicità, basta il pensiero

Felicità, basta il pensiero
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Lunedì 27 Ottobre 2014, 06:14
IL CASO
Per essere felici è necessario l'erotismo? Sì, dice Platone, e aggiunge: «ma bisogna amare anche la bellezza del pensiero». Per essere felici bisogna essere profondamente egoisti? Sì, risponde Mandeville, e aggiunge: «l'egoismo profondo degli egoisti è una fa bene anche agli sfigati dell'intera società». Per essere felici è necessario eliminare dalla propria mente le passioni cattive? Certo, risponde Epicuro, e poi ci dice: «soprattutto bisogna stare lontani dalla Società, con pochi amici e amiche, in pace in un giardino a mangiare fichi dolci e a bere vino». Per essere felici è necessaria la Società? Assolutamente sì, dice Rousseau, e sussurra: «e non dimentichiamo libertà, uguaglianza e un po' di stipendi quasi uguali per tutti!»
LA TESI
Stiamo scherzando un po', non troppo, e lo facciamo perché un bellissimo libro di Fulvia De Luise e Giuseppe Farinetti viene a solleticare chi voglia capire cosa c'entri la filosofia con la felicità: il libro è “I filosofi parlano di felicità”, è un'antologia commentata del pensiero filosofico dalle origini al Novecento ed esce da Einaudi. Dopo un po' che sfogliamo “I filosofi e la felicità” ci accorgiamo che la tesi degli autori è molto seria: le idee che attraversano i secoli sembrano tutte variazioni sulle idee pensate da Platone, Aristotele, Epicuro e i filosofi dell'antichità.
I CARDINI
La libertà di disporre del proprio tempo e del proprio corpo come si vuole; la possibilità di vivere in pace con altre persone in uno Stato che garantisca sicurezza ma anche libertà; la possibilità del piacere come punto cruciale dell'essere felici: quel piacere che per Aristotele è il solo motivo che può spingere l'uomo al bene, vale a dire che sono etico solo se provo piacere nell'essere etico; l'importanza di stare in salute, nel corpo e nella mente; l'importanza di un reddito giusto; l'importanza di avere una compagna o un compagno, di avere figli e di avere amici: tutti i pensatori girano per secoli intorno a queste cose, e ognuno propone una variazione sul “come” realizzare tutto ciò, fino a decidere, in epoca illuminista e al tempo della Rivoluzione americana, che la felicità è “un diritto” che deve essere inserito tra i diritti di ogni cittadino.
IL CAMBIAMENTO
Poi, quasi insensibilmente, succede qualcosa. Mentre tutti i filosofi per secoli parlano della felicità con argomenti forti e proposte semplici, e sono convinti che la felicità si possa raggiungere per individui, gruppi e Stati, si arriva all'ultimo secolo e mezzo, e se allora si chiede ai filosofi: «Per essere felici cosa serve?», succede che Nietzsche, Freud, Marx o Bertrand Russell rispondono: «Mah, sai, forse si dovrebbe, chissà, dunque, però, cioè… tu vorresti sapere come essere felice, ma è una parola!». Cosa è successo nella Modernità? I filosofi cominciano a dire che i poveri non devono fare figli, che bisogna rivoluzionare la società intera e l'economia, e addirittura che è inutile affannarsi a cercare la felicità perché tanto negli uomini la tendenza al dolore e alla morte è più grande della tendenza al piacere e alla vita.
E se si arriva di colpo a oggi, saltando il Novecento di Guerre e stermini, si scopre che il tema “felicità” nella filosofia non esiste proprio più: non è tema di dibattito quotidiano come nel Settecento, non è un tema “all'ordine del giorno”, ed è affidato quasi solo alla pubblicità e all'intrattenimento. Come se non fosse più una cosa seria.
LO SNODO
E qui arriva il punto cruciale: è come se l'intero gruppo di pensatori, professori, sacerdoti, maestri, giornalisti, politici e tutti quelli che fanno opinione e cultura dessero per scontato ciò che per millenni sarebbe stato inaccettabile: la felicità è solo un'illusione, quindi arrangiatevi. Ma attenzione, sarebbe un errore gravissimo, se si pensasse così: l'idea di “felicità” è stata per millenni l'idea di un senso da dare all'esistenza, un senso che indirizzava anche la Politica a lavorare e operare per la felicità degli uomini. Se si ritiene impossibile la felicità per le comunità, che sono sempre fatte di singoli, è come se si dicesse: «si salvi chi può!». Ma il «si salvi chi può!» non è una soluzione, e noi dell'anno 2014 e dei futuri anni, dovremmo riflettere molto su questo: non è che avessero ragione filosofi e Padri costituenti americani dicendo che la felicità è un diritto?
Giuseppe Montesano
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