Minacce a Saviano e Capacchione: assolti i boss dei Casalesi

Minacce a Saviano e Capacchione: assolti i boss dei Casalesi
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Martedì 11 Novembre 2014, 05:51
IL VERDETTO
NAPOLI Quell'intervento in aula aveva un preciso contenuto minaccioso. Non era solo un passaggio tecnico, ma una istanza intrisa di mafiosità, perché puntava ad additare agli occhi di boss e dei loro parenti - agli occhi della platea di una corte di assise dove si celebrava il processo alla cupola dei casalesi - il volto di due scrittori e giornalisti. Eccolo il verdetto pronunciato dalla terza sezione penale del Tribunale di Napoli, che accoglie solo parzialmente le richieste della Procura: condannato a un anno di reclusione il penalista Michele Santonastaso (per lui la richiesta era di un anno e sei mesi), ritenuto responsabile di aver letto in aula minacce aggravate dal metodo camorrista; assolto invece il suo cliente di un tempo, vale a dire il boss Francesco Bidognetti (detenuto da tempo al 41 bis), per il quale non è stato provato il ruolo di mandante del testo incriminato; assolto anche il boss pentito Antonio Iovine (per il quale la Dda aveva chiesto comunque l'assoluzione) e il quarto imputato, l'avvocato Carmine D'Aniello.
IL PENALISTA DEL CAMORRISTA

Una vicenda che risale all'ormai lontano 13 marzo del 2008, alla decisione dell'allora penalista in carriera Santonastaso di leggere (e non limitarsi a depositare l'atto) la richiesta di trasferimento del processo da Napoli ad altra sede giudiziaria. Una Cirami, una istanza di remissione di oltre duecento pagine oggi definita strumento di minaccia, mezzo di intimidazione mafiosa nei confronti di chi aveva osato raccontare - alla città e al mondo - le evoluzioni criminali del clan dei casalesi. Aula 116, il verdetto assolve l'altro imputato eccellente, il presunto boss difeso da Santonastaso. In attesa di leggere le motivazioni, non è impossibile ricostruire il ragionamento dei giudici. Decisivo il racconto del capoclan pentito Antonio Iovine (all'epoca latitante) che ha fatto riferimento a una sorta di iniziativa autonoma di Santonastaso. «Ci fidavamo del nostro avvocato - aveva spiegato - se era necessario mettevamo anche firme in bianco sotto le sue istanze processuali. Ma posso confermare - aveva poi aggiunto Iovine - che indicare un giornalista agli occhi di Bidognetti come un nemico significava metterlo a rischio di morte». Una iniziativa autonoma - dunque - quella di Santonastaso, ma per agevolare comunque gli interessi del clan. È il ragionamento del pm della Dda Cesare Sirignano (titolare del processo assieme al collega Antonello Ardituro, oggi al Csm), nel corso della sua replica finale: «Quella Cirami è stata una condanna a morte, specie se calata in quei mesi della primavera del 2008, quando vennero uccise persone che dieci anni prima avevano osato denunciare il racket dei casalesi». Soddisfazione da parte di uno dei titolari delle indagini, l'ormai ex pm Antonello Ardituro, da qualche mese al Csm.
«PRIMO PASSO PER LA LIBERTÀ» «Non sono imbattibili, non sono invincibili e la sentenza lo dimostra», ha commentato in aula Saviano. Aggiungendo: «I camorristi sono guappi di cartone. Dare la scorta a chi scrive significa permettere di scrivere e garantire un diritto costituzionale. Spero che questa sentenza possa essere un primo passo verso la libertà, che ora ci possa essere una mia vita nuova». Poi in un tweet ha parlato di «vittoria a metà». Ma in cosa consisteva la Cirami letta dinanzi ai giudici della seconda corte d'assise di Napoli? Duecento e passa pagine lette tutte d'un fiato, per battere su un teorema oggi ritenuto intimidatorio: ci sarebbe stato un accordo tra magistrati (venivano citati l'ex pm Raffaele Cantone e l'attuale procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho) e giornalisti e scrittori (tra cui l'autore di Gomorra) per condizionare lo svolgimento dei processi. Ci sarebbe stato un patto mediatico-giudiziario per provocare condanne e sequestri di beni, per veicolare procedimenti in determinate sezioni del distretto giudiziario e per macinare ergastoli. Parole pesanti, oggi ritenute minacciose, finalizzate ad agevolare il clan. Un «proclama» per il quale oggi l'ex avvocato è condannato a risarcire il consiglio dell'ordine dei giornalisti e le altre parti offese, a distanza di sei anni da quanto avvenne nell'aula del carcere di Poggioreale.
Leandro Del Gaudio
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