Scuola, lo scrittore Manacorda: «Giusto puntare sul merito. I sindacati? Non li capisco»

Scuola, lo scrittore Manacorda: «Giusto puntare sul merito. I sindacati? Non li capisco»
di Valeria Arnaldi
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Lunedì 18 Maggio 2015, 23:27 - Ultimo aggiornamento: 19 Maggio, 00:08
Scrittore, poeta e saggista, docente universitario, e, dal 2012, presidente dell'Istituto Italiano di Studi Germanici, Giorgio Manacorda come valuta la riforma della Scuola?

«Mi sembra complessivamente buona perché va nella direzione della meritocrazia. Il tema della valutazione è dominante. Anche per dirigenti scolastici e presidi. Ammettiamolo, ci sono docenti bravissimi e altri che tirano a campare, io credo sia arrivato il momento di fare la differenza. Non possiamo procedere secondo la linea del Todos Caballeros, che vorrebbero i sindacati».



Contrario alle proteste?

«Una delle cose che più mi dispiacciono, vista la mia origine comunista, è che mi sembra che i Sindacati stiano svolgendo una funzione contraria a quella che bisognerebbe esercitare. Non si può rimanere arroccati su logiche pseudo-democratiche che vorrebbero tutti dentro, peraltro incompatibili con i problemi di bilancio. É ora di piantarla, bisogna uscire da queste dinamiche».



Pensa che la riforma aiuterà i ragazzi ad avere nuove opportunità a livello internazionale?

«Non saprei dirlo. Se devo fare un paragone con l'università, prima della riforma continua degli ultimi venti anni, i nostri studenti erano bravissimi rispetto ai laureati del resto del mondo. Oggi il livello dell'università si è abbassato. Molti docenti, però, prima approfittavano di una situazione lasca per non fare il mestiere come avrebbero dovuto. Ora, sono più impegnati. Speriamo che la riforma della Scuola migliori l'impegno dei docenti, senza abbassare il livello, ma se tutto va come deve andare, non ci sarà abbassamento».



La differenza la faranno le persone?

«Esattamente come ora fa differenza l'università in cui si studia, avrà il suo peso anche la scuola. È inutile fare finta che sia tutto uguale, non lo è. Questa mentalità abbassa il livello».



Sono proprio le diversità a spaventare molti...

«Viene subito in mente il raffronto tra Nord e Sud. In questo modo, in un certo senso, certifichiamo l'arretratezza del Sud, che però in qualche modo ce la deve fare e non può se chiudiamo gli occhi. Magari, invece, stimolandolo...».



Da docente universitario, che lacune riscontrava nella preparazione dei ragazzi?

«Gli studenti, mediamente, arrivavano da noi a livelli impressionanti. Sembrava che la scuola secondaria non riuscisse a dare una vera formazione. Correggere una tesi mandava al manicomio. Bisognava riscriverle, a volte. Durante la lezione, dovevi stare attento alle parole. Se usavi un termine non dico specialistico, ma di lessico intellettuale normale, vedevi calare un velo sugli occhi».



Cosa chiederebbe alla "nuova" Scuola?

«Mi aspetto che gli studenti escano con piena padronanza dell'italiano e una cultura di base che permetta loro di affrontare temi più ampi e, al contempo, specialistici. Se la riforma creerà un meccanismo di sana competizione sarà un bene. Basta con l'appiattimento verso il basso».



Occorre promuovere una cultura alta?

«Se, come Paese, non si investe in cultura e formazione, si finisce economicamente in coda ai più progrediti. Formazione, ricerca, istruzione sono fondamentali per la crescita civile ed economica del Paese. Io presiedo l'unico ente di ricerca umanistica tra i dodici sorvegliati dal Miur. Fa benissimo Renzi a investire nella scuola e a tentare la riforma. Lasciar stagnare tutto non fa funzionare le cose, si vede. Proviamo a cambiare».
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