Morti nelle discoteche: «Come controllo mio figlio?»
Genitori, domande e dubbi

Morti nelle discoteche: «Come controllo mio figlio?» Genitori, domande e dubbi
di Maria Latella
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Martedì 11 Agosto 2015, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 09:40
«Ogni sera, quando mio figlio esce, penso a quelle madri che vedevano partire il figlio per il fronte. Lo saluto con l'ansia di non sapere quando tornerà. In quali condizioni tornerà. Al “se” tornerà non voglio neppure arrivarci, ma come si fa a non pensarci, col veleno che spacciano ogni notte?». È una guerra, i giornali ci fanno sopra il titolo e per una volta hanno ragione loro e torto quelli che sottovalutano. Dall’inizio dell’estate i teen ager muoiono come mosche sulle spiagge d'Italia. È una guerra, ma almeno in guerra c'è chi può decidere per l'obiezione di coscienza. Nella guerra contro le pasticche, l'ecstasy, la chetamina, nella guerra che manda al fronte ragazzi poco più che bambini, che si fa?



IL TWEET DEL SINDACO

«Se le famiglie esercitassero un po’ più di controllo sui figli, non morirebbe un 18enne a settimana in disco. Se non sai educare non procreare». Il tweet del sindaco di Gallipoli, Francesco Errico, si conficca come una spina fastidiosa nella coscienza di tanti genitori. Decido di fare un tweet anch’io, di chiedere a quanti mi seguono cosa pensano di quei 140 caratteri firmati dal sindaco. Sembrano spietati ma chi di noi non ha pensato qualcosa di simile, almeno una volta nella vita, di fronte a casi molto meno devastanti, certo, magari in treno o al ristorante, vedendo genitori incapaci di controllare i capricci dei figli? Facile pensarlo quando riguarda gli altri: se non sai essere autorevole, se non riesci a farti rispettare, non provarci neppure a fare il genitore. Ma quando sei tu il genitore che dovrebbe vigilare sul ragazzino quattordicenne, sulla figlia sedicenne che al mare pretende di star fuori fino all'alba «perché cosi fanno tutti». Che si fa allora?



LE RISPOSTE

Guardo e riguardo i tweet di chi ha risposto alla mia domanda: «Cosa pensate di quel che ha scritto il sindaco di Gallipoli?». Con sfumature diverse, sembrano tutti d'accordo con lui. Tony Cavallaro è tra i primi a twittare: «Assolutamente vero, genitori che non vedono (o vogliono vedere) i problemi dei figli...». Gian Mario Giua esprime una convinzione che sarà poi condivisa da molti altri: «I 140 caratteri e la poca diplomazia hanno fatto esprimere male un concetto condivisibilissimo». Domenico R. Diana: «Il sindaco di Gallipoli ha sbagliato forma, resta la sostanza del discorso. Ragazzi di quattordici/quindici anni devastati dall'alcol, impasticcati. E pensi: i genitori dove sono?». Sandra assolve il sindaco: «Il messaggio dove essere espresso con una forma più consona ma certe libertà adolescenziali sono impressionanti».



Vito Agosti punta il dito contro madri e padri immaturi: «Vero! Genitori che si sentono ancora ragazzi e figli che devono fare i genitori».

La guerra è guerra. Non si possono chiudere tutte le discoteche. Non si possono chiudere le spiagge. Forse però, riflette Fuggitiva con due tweet, forse bisognerebbe guardare alla questione dall'altra parte della barricata: «Ragazzi fuori casa dalle 21 alla mattina. Perché? Per me roba de matt». Secondo tweet: «Che per divertirsi occorra alcool e droga è grave problema psichiatrico di famiglie e ragazzi fuori binario». Penso di nuovo ai titoli dei giornali di questi giorni. Articoli che raccontano di ragazzini di quindici anni fermati nel Salento con quindici o cinquanta pasticche, con dosi di cocaina e marijuana. Lo spacciatore può essere tuo figlio, il figlio della tua amica. Adesso con la marijuana gli Stati pensano di farci i soldi, si legalizza e si tassa. Fosse così semplice.



Come ha scritto Luigi Ripamonti sul “Corriere della Sera” «ha ancora ragione d'essere un dibattito fra proibizionismo e antiproibizionismo? Il fronte si è spostato». Legalizza la cannabis e il mercato offrirà nuovi metodi per trasgredire, farsi del male. Provare a sfidare la morte. «La tossicodipendenza non c'entra - ha infatti spiegato lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet - Quei giovani vogliono partecipare a un grande rito, un passaggio iniziatico, una prova di coraggio per superare la propria paura facendo qualcosa di straordinario. Straordinariamente pericoloso e inutile».



IL BISOGNO DI RISCHIARE

Da sempre, dall'inizio della storia dell'umanità, i giovani maschi hanno bisogno di sfidare il pericolo. Proprio per questo oggi, nei campus estivi più esclusivi, in Svizzera o negli Stati Uniti, i quattordicenni delle élites internazionali vengono portati a fare bungee jumping. L'obiettivo è fargli sperimentare il rischio, perché poi non abbiano bisogno di provarsi ingollando ecstasy, ketamina, e tutto il reportorio chimico che le mafie di ogni latitudine preparano per loro. Il punto è infatti questo. Tra i 14 e i 20 anni i giovani maschi (ma anche le giovani femmine, sia pure in misura ridotta) devono rischiare. Sfidare il gruppo. I genitori che lo sanno possono arrendersi al senso di impotenza o combattere con le armi della psiche. Rileggo il tweet di Laura Cannavò, 140 caratteri densi di inquietudine: «I genitori possono anche combattere una guerra solitaria ma intorno c'è una landa di desolazione».



Da madre, lo so. So che da soli non si vincono battaglie. Serve una rete. Serve parlare con le altre madri e con gli altri padri, aprire occhi che magari preferirebbero non vedere. Sorveglianza, parola desueta, ma forse bisognerà ripescarla e adeguarla al 2.0. I genitori che «rispettano la privacy» dei figli quindicenni, che non sanno niente di quel che fanno i loro ragazzi una volta chiusa la porta di casa, ignorano che in guerra (come in amore) ogni arma èconsentita. E l'unico modo per evitare rimpianti, rimorsi o qualcosa di peggio è 1) prendere coscienza del nostro tempo 2) fare rete con gli altri genitori. L'adolescenza dura cinque anni. Saranno anche duri, ma passano.
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