Maurizio Stirpe, Confindustria: «Jobs act, impossibile un ritorno al passato. Le nuove regole funzionano bene»

Maurizio Stirpe, Confindustria: «Jobs act, impossibile un ritorno al passato. Le nuove regole funzionano bene»
di Giusy Franzese
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Giovedì 15 Dicembre 2016, 00:37
«Il Jobs act è una legge fatta bene». Maurizio Stirpe è l’uomo che in Confindustria, in qualità di vicepresidente, ha la delega al lavoro e alle relazioni industriali. L’eventuale tegola di un referendum abrogativo del Jobs act cadrebbe, per quanto riguarda le imprese, prima di tutto sulle sue spalle. Toccherebbe a lui ricomporre un puzzle decisamente complicato.

L’11 gennaio la Corte Costituzionale deciderà sull’ammissibilità dei referendum abrogativi proposti dalla Cgil di alcune parti sostanziali del Jobs act. Comprese le norme che riguardano i licenziamenti individuali. È preoccupato? 
«Tanto per cominciare è bene attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale. Un principio però è chiaro: un semplice ritorno al passato su queste materie non è possibile».

Quindi, se si andasse alle urne e vincessero i sì, le imprese tornerebbero all’attacco dell’articolo 18?
«Si riaprirebbe un capitolo che dovrà trovare una adeguata soluzione. Le ragioni per cui il legislatore ha deciso di superare l’articolo 18 dello Statuto sono note: l’eccessiva rigidità dei rapporti di lavoro era un freno alle assunzioni stabili e all’attrazione di investitori stranieri». 

Secondo molti osservatori, più che l’abolizione dell’articolo 18, sulla ripresa delle assunzioni ha avuto effetto la decontribuzione. Tant’è che il picco di assunzioni stabili si è avuto nel 2015, quando gli sconti sui contributi erano totali. Quest’anno, invece, con lo sconto ridotto a meno della metà, il trend è in netta frenata. Questi dati non dimostrano che in realtà la funzione deterrente dell’articolo 18 era sopravvalutata?
«Non è così. Il 2015 per le assunzioni è andato bene per una serie di fattori che hanno agito insieme: la decontribuzione, le nuove regole del Jobs act e le previsioni di crescita. Gli scenari di ripresa erano tali da dare una maggiore fiducia agli imprenditori, ma poi la situazione economica generale è entrata in stallo, ridimensionando le attese. E non c’è niente da fare: per poter avere una diminuzione marcata della disoccupazione la crescita non può viaggiare a ritmi da zero virgola, deve essere decisamente sopra l’1%. Affinché questo avvenga ci vuole un clima favorevole alle imprese: solo così ci saranno investimenti e assunzioni. In questo contesto il Jobs act è una buona legge». 

Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, di fronte alla minaccia di un referendum abrogativo del Jobs act prevede una certa «ansietà» tra gli imprenditori e quindi un freno alle assunzioni. Per chi sperava di trovare un lavoro, il 2017 rischia quindi di aprirsi sotto i peggiori auspici?

«Condivido in pieno le preoccupazioni del presidente Boccia».
A metà gennaio, a ridosso della decisione della Corte Costituzionale, ci sarà un nuovo round con i sindacati per il cosiddetto “patto della fabbrica”. Si parlerà anche di deroghe al Jobs act?
«L’argomento non è in agenda. Anzi dico di più: il mondo delle imprese non è disponibile a discutere di condizioni peggiorative e di arretramento in materia di lavoro. L’ordine del giorno del tavolo è già abbastanza pieno: rappresentanza, bilateralità, riforma del modello contrattuale. Per ora stiamo lavorando a “una fabbrica del patto”, ovvero a costruire le condizioni per modificare le relazioni industriali in senso più moderno».

Il governo Gentiloni ha fatto “risorgere” il ministero del Mezzogiorno. C’è spazio secondo lei per una stagione di interventi straordinari?
«Il ministero del Mezzogiorno è un segnale importante verso un’area del Paese che ha sofferto in modo pesantissimo la crisi. Non servono però interventi straordinari, ma politiche di sviluppo di intensità maggiore».
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