François Ozon: «La mia Grande Guerra dalla parte degli sconfitti»

François Ozon: «La mia Grande Guerra dalla parte degli sconfitti»
di Gloria Satta
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Domenica 4 Settembre 2016, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 6 Settembre, 17:33
Ottima accoglienza, tra applausi e commozione, per il film di François Ozon, Frantz, che entra di prepotenza nella rosa dei premiabili. È una storia drammatica, liberamente ispirata al capolavoro di Lubitsch Broken Lullaby (a sua volta tratto da una pièce di Rostand), ambientata all’indomani della prima Guerra mondiale e raccontata da Ozon in un bianco e nero smagliante che esalta l’intensità dei due giovani protagonisti interpretati da Pierre Niney e Paula Beer. Lei, Anna, è tedesca e piange il fidanzato morto al fronte. Un giorno, sulla tomba del caduto, s’imbatte nell’enigmatico francese Adrien...
«E pensare che quando ho sottoposto ai produttori il progetto, mi sono sentito rispondere: ancora un film sulla Grande Guerra? Il pubblico ne ha piene le scatole», racconta Ozon, 47 anni, uno dei più raffinati e versatili cineasti francesi, all’attivo titoli cult di generi diversi come Otto donne e un mistero, Sotto la sabbia, Nella casa, Giovane e bella. «Ma poi ho ottenuto i finanziamenti convincendoli che avrei realizzato un film diverso dagli altri, con un punto di vista inedito».
Che cosa intende?
«Per la prima volta un film francese, ambientato durante quel conflitto che decimò un’intera generazione, sposa la prospettiva di un personaggio tedesco, cioè la ragazza. Ho voluto raccontare le cose dalla parte di chi aveva perso la Guerra. E sfatare gli stereotipi cinematografici secondo cui i tedeschi sono sempre i nemici, i nazisti cattivi. Frantz ha come tema la riconciliazione».

 
E perché non descrive tanto il conflitto quanto le sue conseguenze nell’esistenza dei sopravvissuti?
«Frantz è un thriller sentimentale, un racconto di formazione. Anzi, la storia di un’emancipazione: quella della protagonista che, malgrado il destino le abbia riservato lutti e dolore, va avanti, abbandona le illusioni, sceglie la vita. Lui, invece, è un personaggio più complicato, fatica ad elaborare i sensi di colpa, a dimenticare i fantasmi della guerra».
Vede analogie tra quel periodo storico e i nostri tempi?
«Si, e non sono poche. Oggi come allora la crisi europea, mondiale favorisce l’avanzata dei nazionalismi e il successo dell’estrema destra. Non a caso s’invocano le barriere...Per non parlare della Brexit, che all’epoca della sceneggiatura non potevo prevedere. Ho voluto poi far riascoltare le parole della Marsigliese: dopo l’attentato a Charlie Hebdo ha unito i francesi, in realtà è un cruento inno di guerra».
Un tema del film, e del suo cinema in generale, è la menzogna: a volte diventa una necessità?
«Non c’è dubbio. Nella situazione drammatica che fa da sfondo a Frantz la bugia ha uno scopo benefico, aiuta soprattutto i personaggi più anziani a superare il dolore del lutto e a sopravvivere».
Il film è parlato in buona parte tedesco: che rapporti ha con la cultura della Germania?
«Mi sento molto legato a quel Paese, il primo all’estero che ho scoperto quand’ero un ragazzino. Come l’erba dei vicini, là mi sembrava tutto più bello, dalle case al paesaggio. Il tedesco è stata la prima lingua straniera che ho imparato per meglio conoscere e assimilare la letteratura romantica, la musica di Mahler. Il film vuole essere anche un omaggio alla cultura della Germania».
Se qualcuno affermasse che Frantz, in qualche momento, ha toni mélo si offenderebbe?
«No! Non sono contrario a mescolare i generi, se serve a dare più forza alla storia. Ogni volta che giro un film, tengo bene a mente la lezione di Hitchcock: non deludere mai le aspettative dello spettatore, costringerlo a porsi delle domande».
 
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