Fisco, obiettivo famiglia: incentivi al secondo figlio

Fisco, obiettivo famiglia: incentivi al secondo figlio
di Luca Cifoni
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Lunedì 18 Aprile 2016, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 19 Aprile, 17:38

L’idea, sulla carta, è condivisa da tutti: usare anche la leva fiscale per sostenere le famiglie. Non solo quelle che già esistono ma anche quelle che si stanno formando: in altre parole spingere la natalità. La realtà è un po’ più complessa se è vero che gli strumenti finora messi in campo, da ultimo il cosiddetto “bonus bebè”, non sembrano aver inciso minimamente su una tendenza demografica negativa ormai consolidata. Addirittura, nel caso dell’assegno da 960 euro in vigore dall’inizio del 2015, nel primo anno sono state erogate meno risorse finanziarie di quelle previste.

 

NORMATIVA COMPLESSA
Ora il governo sembra intenzionato a tornare sulla materia e l’obiettivo è prima di tutto riordinare gli strumenti esistenti, che nel corso degli anni si sono affastellati senza un reale coordinamento politico. Nel programma nazionale di riforma inserito nel recente Documento di economia e finanza (Def) si spiega che «il governo intende attraverso una delega legislativa, coordinare e unificare la complessa normativa sulla famiglia attraverso la redazione di un apposito Testo unico, che collochi in un quadro unitario le numerose misure esistenti». In questo contesto, si pensa anche a «una revisione degli strumenti di sostegno diretto e indiretto in favore delle famiglie, anche al fine di incentivare la natalità». Nella revisione potrebbe rientrare la scelta di rafforzare i benefici riservati ai figli successivi al primo. Da poche settimane nell’esecutivo c’è di nuovo un titolare della delega per la Famiglia: si tratta di Enrico Costa, ministro degli Affari regionali.

Parlare di «complessa normativa» è sicuramente un eufemismo. Non solo gli strumenti di intervento sono diversi, ma cambiano anche gli indicatori usati per misurare l’effettiva condizione dei nuclei familiari ed il loro diritto alle prestazioni. Le detrazioni per familiari a carico sono ad esempio correlate all’imponibile Irpef del singolo contribuente, ma il beneficio salvo casi particolari è ripartito a metà tra i due genitori. Le detrazioni, riconosciute per il coniuge e per i figli, sono decrescenti al crescere del reddito e si annullano ad un reddito di circa 90 mila euro: nell’anno di imposta 2014 valevano in tutto 13 miliardi e sono state percepite da quasi 12 milioni e 700 mila contribuenti.

C’è poi l’assegno al nucleo familiare (Anf), che non consiste in una minore imposta ma in un’erogazione diretta da parte dell’Inps nelle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (e dei pensionati che provengono da quel mondo). Anche in questo caso la misura del beneficio si riduce a mano a mano che aumenta il reddito, che però è misurato su base familiare e comprende anche voci esenti dall’Irpef. Nel 2014 percepivano l’Anf circa tre milioni e mezzo tra dipendenti e pensionati, per una spesa complessiva di oltre 4 miliardi. Altri strumenti di questo tipo, con minore diffusione, sono riservati a categorie diverse come lavoratori domestici, agricoli e parasubordinati. Senza contare che anche i Comuni gestiscono in proprio un assegno per la maternità ed uno riservato ai nuclei con tre figli minori, per i quali però il diritto all’accesso è misurato attraverso l’Isee (indicatore di situazione economica equivalente). 

A questo panorama si è aggiunto recentemente proprio il bonus bebè, anch’esso legato all’Isee. Al di là dell’inevitabile inefficienza amministrativa di un sistema così frastagliato, non è infrequente che una famiglia non sappia esattamente a quali prestazioni ha diritto e quali sono gli adempimenti necessari. Il governo dovrà valutare se in occasione del riordino potranno emergere risorse aggiuntive: si ragiona sulla possibilità di concentrare l’effetto dei detrazioni fiscali e bonus bebè sul secondo figlio, come specifica misura di incentivo alla natalità.

Un altro fronte aperto è quello della previdenza complementare. Nel 2015 il governo aveva portato al 20 per cento l’aliquota dell’imposta sui rendimenti dei fondi pensione, dal precedente livello dell’11,5 che era più basso di quella applicata sui titoli di Stato. Per le casse di previdenza il prelievo è salito al 26. Si valuta una parziale marcia indietro, insieme ad un incremento della deducibilità fiscale dei versamenti effettuati. Obiettivo spingere la cosiddetta pensione di scorta anche in vista di una possibile riduzione della contribuzione obbligatoria.
 

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