«Scelsi di operarmi perché nel 2012, dopo gli allenamenti, cominciavo a sentire un po’ di dolore alla schiena. Feci varie visite, e i medici riscontrarono una scoliosi piuttosto grave. Tutti mi consigliavano un intervento chirurgico, spiegandomi che con il tempo le cose sarebbero potute peggiorare. Alla fine ci rivolgemmo ad un professore del policlinico di Tor Vergata. Eravamo convinti che fosse un ottimo chirurgo, ma hanno sbagliato nell’applicarmi due viti e hanno bucato il midollo. E ora che vuole che le dica... Sto così. Per i primi due o tre giorni, dopo l’operazione, non avevo nemmeno più sensibilità al braccio destro e per sette mesi non ho controllato neanche urina e feci».
«Sapete che la mia passione è il ballo. La prima cosa che ho fatto appena mi sono svegliata dall’anestesia è stata provare a muovere le gambe. Scoprire che non riuscivo a muovere la destra è stato un trauma enorme. Il momento peggiore, però, è stato quando ho capito che non avrei più camminato, tre mesi dopo l’intervento. Ora il peggio è passato, perché ho preso coscienza del fatto».
«Continuo a fare riabilitazione. L’Asl però mi assicura solamente 54 sedute in un anno, tutto il resto è a carico della mia famiglia ed io ho bisogno di fare fisioterapia tutti i giorni. Attualmente sto aspettando che mi richiamino per le 54 sedute di cui posso usufruire nel 2015»
Fisioterapia a parte?
«Spesso vado in sala, alla scuola di ballo dei miei genitori, a Rocca Priora, dove continuo a insegnare. A volte però non ce la faccio emotivamente e torno a casa. Puntavo a una carriera di ballerina, ho vinto dei trofei, sono arrivata seconda ai campionati mondiali di danza latina e ora i miei ragazzi sono arrivati quinti nello stesso campionato. Quando vado a vederli mi sento in mezzo a loro. Per il resto, molte altre cose sono cambiate. Ho rinunciato all’università perché penso che avrei avuto delle difficoltà negli spostamenti. Una volta, quando andavo alle superiori, a Frascati, sono rimasta bloccata al quinto piano e alla fine sono dovuti venire i pompieri e calarmi per la tromba dell’ascensore».
«Vado in aula perché parlano di me, per sapere cosa dicono. Per il resto se condannano o assolvono il medico che mi ha operato non cambia nulla, perché la gamba non me la ridarà nessuno»