Il cardinale Ravasi: «Roma non è il cuore dell’avvenimento, a Bangui il vero messaggio di rottura»

Il cardinale Ravasi: «Roma non è il cuore dell’avvenimento, a Bangui il vero messaggio di rottura»
di Franca Giansoldati
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Martedì 8 Dicembre 2015, 23:55 - Ultimo aggiornamento: 23:57
CITTÀ DEL VATICANO Il cardinale Gianfranco Ravasi saluta, fa selfie, benedice. In basilica c'è un clima di festa, con un via vai di gente incredibile.

A quanti anni santi ha partecipato?
«Ho avuto la fortuna di avere visto tutti gli anni santi dal 1950 in poi. Nel 1950 avevo 8 anni. I miei genitori quando videro Pio XII sulla sedia gestatoria che passava mi tirarono su perché potessi osservarlo. Me lo ricordo ancora. Una figura ieratica. Rammento il 1975. Se non sbaglio a Paolo VI caddero alcuni piccoli calcinacci sulla testa. Poi quello del 1983, indetto da Giovanni Paolo II per l'anniversario simbolico della morte di Cristo, e il grande giubileo del Duemila che è poi quello che ho seguito meglio…»

Perché?
«Perché chi fece da consulente esterno, per la regia, fu un mio caro amico, Ermanno Olmi».


Il Duemila sembra lontano anni luce rispetto… «Erano tempi differenti. L'attuale giubileo è più sobrio, non solo perché rispecchia Papa Bergoglio, ma perché è anche nello spirito dei tempi. Si tratta di stili differenti. Il piviale di Giovanni Paolo II, per esempio, era colorato, dorato, luccicante. Era emblematico della sontuosità del momento, si chiudeva un millennio, si entrava in un altro. Tutto l'aspetto coreografico declinava questo messaggio. Ora emerge la sobrietà estrema».

Ci sono anche due Papi stavolta…
«Si tratta di una immagine che entrerà nella prassi della Chiesa. È possibile che i pontefici non portino a termine più sino alla fine il loro mandato. Sicuramente la immagine dei due pontefici è un inizio assoluto e può essere che in futuro si ripeta. Non vedo strade differenti. Ratzinger ha aperto una strada. E poi stavolta c'è un'altra novità…»

Quale?
[«La prima porta santa è stata aperta a Bangui. Si tratta di un elemento unico. Di rottura, di portata simbolica enorme perché diffonde nel mondo il messaggio che Roma non è più il cuore, perché in quel momento si trovava altrove. Ci ha ricordato anche la forza delle periferie e la dinamica virtuosa del cuore e delle sue membra più lontane: tutte fanno parte di un medesimo organismo vitale».

E la cosa che più la ha fatta riflettere?
«Il rituale. La solitudine del Papa che varca la soglia, solo con un uomo qualsiasi. In quel momento è una creatura che va a chiedere perdono».

Il fatto che sia stata aperta la porta santa in Africa, può farci immaginare che c’è posto per un Papa africano?
«Bangui ci ha ricordato che la cattolicità è universale, che la Chiesa è intercontinentale e che la Chiesa va oltre. Papi africani? Naturalmente non si può prevedere ma in linea teorica è possibile, tenendo conto che tra i primi papi c'erano degli africani. L'immagine di Bangui, però, ha fornito lo spunto per andare alle radici bibliche del giubileo. Nel Levitico viene descritto con quattro elementi, la liberazione degli schiavi, la remissione dei debiti, il ritorno delle terre a chi le aveva perse e il riposo della terra che poi rimanda alla questione ecologica. Naturalmente i profeti si lamentavano del fatto che non venivano osservate, ma nel capitolo 25 del Levitico si ricorda proprio che la misericordia è strutturale del giubileo».

Quindi il Giubileo straordinario della misericordia non è poi cosi straordinario.
«In questo senso sì. Gesù dice la stessa cosa. Luca riferisce che nella Sinagoga quando fa il suo primo discorso pubblico, dice di essere venuto per annunciare la buona novella ai poveri, ridare la vista ai ciechi e annunciare la grazia del Signore. Ecco, il verbo annunciare è giubileo. Il giubileo da connettere ai poveri, a coloro che più soffrono nel cuore, ai peccatori».
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