Libri, c'è postilla per te

Libri, c'è postilla per te
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Martedì 23 Settembre 2014, 05:55
IL FENOMENO
Chissà che cosa gli disse quel giorno Vincenzo Mollica, certo «l'indimenticabile telefonata entusiasta» fu la molla che spinse Donato Bendicenti a scrivere il dimenticabile La donna di Parigi. E decisiva, preveggente, fu anche Silvia Meucci per Tony Laudadio, seppe vedere il romanzo del futuro scrittore «in me prima ancora di me». Daria Bignardi ha senz'altro un merito, aver chiesto a Roberto Saviano di «scrivere, scrivere». E Paola Calvetti non poteva che approdare al suo romanzo «Perché mi hai sorriso»: al momento opportuno, infatti, si è imbattuta in Elisabetta Sgarbi che «trasforma gli sguardi in parole», la macchina narrativa s'è miracolosamente avviata. E chi sarà mai lo sconosciuto (a) interlocutore di Pierangelo Buttafuoco che sa «come mettere zucchero tra reuzzi e principessa?» E cosa scrisse Giuseppe Genna «sui formaggi» per illuminare la stesura di Sono l'ultimo a scendere di Giulio Mozzi? Una cosa, comunque, è certa: insieme a mille altri, Mollica telefonista, la visionaria Meucci, il supporter Bignardi, Sgarbi con il suo secondo occhio, il pasticciere senza nome di Buttafuoco, l'esperto gastronomo Genna sono i protagonisti che compaiono in Gratularia, Note, Explicit. Più modestamente, nei “Ringraziamenti” in fondo ai libri di Bendicenti, Laudadio, Saviano, Calvetti, Buttafuoco, Mozzi.
Un vero fiume in piena: da circa venti anni a questa parte con una creatività straripante (il primo fu forse Tondelli che pubblicava in coda la lista dei grazie nello stile dei dischi rock e pop), la moda è diventata una vera mania di prolungare il testo nella postilla che lo chiude. Un fuori testo stravagante, divagante, egocentrico, a secondo dei casi. Magari con vaghe allusioni: «Grazie alla volpe che ha camminato sul ghiaccio» (Simona Vinci). Pizzini gravidi di pensiero: «La fine di un romanzo è come la partenza di un amico: lascia sempre un poco di vuoto» (Giorgio Faletti). Frecciate ad avversari di una vita: «Alla mia vecchia nemica che ignora quanto io le sia grata per avermi rovinato l'esistenza» (Carmen Covito). Una moda che non risparmia quasi nessuno, neppure Baricco-Pinocchio che pure ha promesso, in Questa storia, che «dal prossimo libro non ringrazio nessuno». Neppure Tabucchi che svia e allude: «Li ringrazio. E superfluo nominarli. Loro sanno».
Nell'ultima pagina, quando cade il sipario sulla storia raccontata, ecco pagine intere per ricordare chi ha contribuito a farla nascere, chi la ha svezzata, coccolata, incoraggiata, e anche chi la ha derisa, ostacolata, oltraggiata con il silenzio di un rifiuto, di un giudizio sommario. Tutti ringraziano tutti, editor, correttore di bozze, ufficio stampa, direttore editoriale e magazziniere.
LA SCINTILLA
Si rivolgono a colui o colei che ha fatto nascere la scintilla dell'idea per il romanzo, passando dalla bibliotecaria che li ha assistiti amorevolmente al gatto che si è sistemato sulle loro gambe nelle lunghe notti insonni al computer, per finire poi, immancabilmente con moglie, marito, compagno, compagna senza il cui appoggio e comprensione queste pagine eccetera eccetera… Così scrive Bruno Arpaia catalogato tra quelli che mettono le “mani avanti”, criticano il grazie mentre ringraziano, nel divertente e graffiante prontuario di Carolina Cutolo e Sergio Garufi Lui sa perché. Fenomenologia dei ringraziamenti letterari (con una prefazione di Stefano Bartezzaghi e un contributo di Umberto Eco, Isbn, 208 pagine, 14 euro).
Come insetti infilzati nella teca dall'entomologo, eccoli in fila tutti o quasi gli scrittori italiani in un catalogo di vanità e nonsense involontariamente comici. I nostalgici sono un manipolo ben agguerrito: in forme e figure diverse, rendono merito ai primi pedagoghi (il maestro di Del Vecchio, il professore di Liceo di Gramellini, l'accademico illuminato di Piperno) che hanno avuto una parte fondamentale nel trasformare il marmocchio imberbe di ieri nello scrittore consacrato di oggi. Seguono poi quelli che si mettono all'ombra di. E i benefici effetti partono dalle grandi querce delle dediche che possono essere Austen, Stevenson, Saramago, Girard e magari anche Ligabue, Vecchioni, Guccini. Gratitudine, vicinanza spirituale, certo, ma anche un riflesso condizionato: se l'ispirazione viene da questi «grandissimi e immensi artisti, il nostro romanzo non può che contenere un po' di quella grandezza, di quell'immensità». L'ovvio è sempre lì lì per affiorare («Ringrazio mamma e papà perché se quella notte non avessero fatto l'amore, io non ci sarei e neppure questo libro», Giorgia Wurth). Come pure il “ringraziamento spiegone” alla Giuseppina Torregrossa(«La storia ha preso corpo nell'assolata terrazza di villa Palamara, tra un biancomangiare e una granita di limone»).
Il ringraziamento così (ha ragione Stefano Bartezzaghi) diventa la passerella stretta, precaria e un po' patetica, fra chi parla nel libro e chi parlerà del libro e fuori del libro. L'autore restituito al suo corpo ai suoi abiti e alla sua pettinatura, la persona in carne e ossa che “pubblicato il libro” dovrà inseguire e conseguire la propria visibilità.
Renato Minore
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