Ariosto, il visionario tradito

Ariosto, il visionario tradito
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Martedì 9 Settembre 2014, 17:27
IL CASO
Proprio Google, con uno splendido disegno colorato, doveva ricordare oggi, a noi italiani smemorati del terzo millennio, il 540esimo anniversario di messer Ludovico Ariosto, nato a Reggio Emilia l'8 settembre del 1474. È un paradosso, eppure Ariosto, che ha scritto il primo grande romanzo - benché in versi - della nostra letteratura, l'Orlando Furioso (l'unico libro che don Chisciotte volle salvare della sua biblioteca!) appare oggi colpevolmente “depresso” nel nostro immaginario culturale. Dopo il geniale, rutilante spettacolo teatrale di Luca Ronconi (del 1969), e dopo l'attenzione appassionata che gli dedicò Calvino (la cui lettura radiofonica del poema approdò a un libro einaudiano del 1970, L'Orlando furioso raccontato da Italo Calvino), le suggestioni ariostesche si perdono via via in alcune pagine di Gianni Celati e Ermanno Cavazzoni (tra gli ideatori del Parco dell'Ariosto e del Boiardo in provincia di Reggio Emilia). E occorre citare anche la straordinaria riscrittura a fumetti del poema ariostesco da parte di Pino Zac nel 1975. Poi più nulla. Né il teatro, forse intimidito dall'insuperabile opera ronconiana, né il nostro cinema sembrano attingere all'opera ariostesca. Inoltre, se le sue case di Ferrara - quando entrò al servizio degli Estensi - sono diventate un museo abbastanza frequentato e un luogo di artisti e scrittori, la villa dove trascorse l'adolescenza a Reggio Emilia - il Mauriziano - appare oggi semi-abbandonata, bisognosa di un urgente restauro, senza un depliant, senza informazioni in Rete, e affidata alla cura di una custode volontaria. Eppure la “filosofia” dell'Orlando furioso, con quel senso della vertiginosa molteplicità dei punti di vista dovrebbe essere vicina al relativismo attuale.
IPPOGRIFI
E così quel misto di ironia, razionalità, gioco, magia, consapevolezza critico-malinconica, costituisce la più alta ispirazione della cultura laica. Va bene, l'Orlando furioso non è mai stato davvero “popolare”, come ad esempio la Divina commedia, e per un ventenne di oggi può essere arduo accedere al Castello di Atlante, cavalcare nei boschi vicino Parigi, trasferirsi con un ippogrifo sulla luna alla ricerca del senno perduto, perdipiù attraversando le perfette, lucenti ottave di endecasillabi del poema. Ma a ben vedere Ariosto non è troppo distante dalle atmosfere del fantasy odierno, perfino da certi effettacci sanguinolenti-pulp del Trono di spade, dal New Italian Epic e - almeno per la mia generazione - dai duelli del western. E insomma quell'universo fantastico, quel realismo psicologico e quella ariosa musicalità del verso potrebbero ancora evocare qualcosa alle nuove generazioni.
IL CULTORE
Di questo abbiamo parlato con Giulio Ferroni, massimo studioso del ‘500 e di Ariosto, autore tra l'altro di due saggi di prossima uscita(sulla rivista “Bianco&nero” e un contributo per il catalogo di una mostra di Reggio Emilia), il quale ha voluto sottolineare in particolare un tema tra i tanti, a partire da quei versi in cui Rinaldo rinuncia a bere nella coppa (l' “odiato vaso”) che potrebbe rivelare l'infedeltà della donna amata: rifiuta la trasparenza (un'altra illusione), cui antepone la certezza dell'amore.
Secondo Ferroni qui si dispiega una particolare saggezza che si vieta di «andare fino in fondo», operazione pericolosa, dagli esiti fatalmente distruttivi. Anche Così fan tutte, consapevole del carattere illusorio, capriccioso della natura umana mette in guardia dall'andare fino in fondo - ci ricorda Ferroni - , e perciò l'opera mozartiana fu invisa al romanticismo
GRANDE FRATELLO
Il Mauriziano, la casa ariostesca di Reggio, si allaga quando piove. Potrebbe essere una triste metafora del nostro rapporto con il passato, con la nostra migliore tradizione culturale. Eppure il messaggio di Ariosto è di una attualità sorprendente. Torniamo al tema suggerito da Ferroni. L'invito ariostesco a mantenersi in superficie - il rifiuto della “profondità” in nome della superficie sempre cangiante delle cose - andrebbe rivolto anche a chi ci governa: qualsiasi politica, radicale o riformista, moderata o progressista, dovrà tenere conto della instabile mutevolezza della natura umana.
Se persegue la trasparenza assoluta, e con ogni mezzo, rischiamo di trovarci nel Grande Fratello orwelliano. Si tratta di un punto delicato. Accettare l'ambiguità insita nelle cose senza aspirare all'ambiguità. Riconoscere che ogni verità è impastata di illusione e menzogna, ma ostinarsi a ricercare la verità, proprio come fa l'uomo di corte e italianissimo poeta Ludovico Ariosto.
Filippo La Porta
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