Orban rimuove la statua di Imre Nagy, simbolo della rivolta contro i sovietici

Orban rimuove la statua di Imre Nagy, simbolo della rivolta contro i sovietici
di Marco Gervasoni
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Sabato 29 Dicembre 2018, 10:42 - Ultimo aggiornamento: 12:32

Abbattere statue, fin dall'antichità, è segno di un cambiamento di regime. Il nuovo potere non vuole più che siano ricordati i rappresentanti o i simboli di quello vecchio. Così, nei paesi dell'est dopo il 1989 sono cadute le statue di Lenin, di Chruëv di Marx e di Engels (quelle di Stalin erano già state fatte crollare su ordine sovietico nel 1956).

Più raro e curioso è il caso di rimozioni che avvengono molto tempo dopo le cadute dei regimi. E' il caso della decisione di questi giorni, lo spostamento della statua di Imre Nagy dalla piazza del Parlamento di Budapest a una sede periferica della capitale ungherese. Imre Nagy era il capo del governo comunista ungherese che nel 1956 favorì la cosiddetta rivoluzione ungherese, chiusa nel sangue dai carri armati sovietici che invasero il paese. Arrestato dai sovietici, fu impiccato due anni dopo. Certamente, da un punto di vista storico, Nagy fece molti errori: da comunista, sia pure riformatore, continuò a fidarsi dell'Urss, nonostante i segnali che gli arrivarono da più parti. Inoltre sottovalutò l'ostilità degli ungheresi al legame con Mosca e non immaginò che il tentativo riformatore avrebbe prodotto un movimento di popolo così incontrollabile.
 


LO SBAGLIO
L'ultimo errore, che gli fu fatale, aver prospettato l'uscita del suo paese dal patto di Varsavia, firmato solo l'anno precedente. In ogni caso, da quel momento Nagy divenne una delle figure dei martiri della libertà, un punto di riferimento memoriale per i dissidenti non solo ungheresi ma di tutti gli altri paesi sotto il tallone sovietico. Non a caso nel giugno 1989 il regime comunista ungherese, poco prima di aprire le frontiere con l'Austria che avrebbero consentito ai tedeschi dell'est di fuggire, riabilitò con solenni funerali pubblici Nagy, che da quel momento divenne un eroe nazionale. E tale fu anche, prima martire e poi eroe, per Viktor Orban, che alla fine degli anni Ottanta combatté con coraggio il regime comunista ungherese. Pare infatti che l'ordine di rimuovere la statua di Nagy nasca da una decisione del governo, cioè di quello stesso Orban che nel 1989 era sulle barricate.

Una mossa che potrebbe sembrare incongrua ma che lo è molto meno se si considerano due elementi. Uno, che tutti i paesi dell'ex est Europa vissero il periodo comunista come un regime di occupazione straniera, introdotto dall'armata rossa attraverso colpi di Stato. Da qui lo sforzo per cancellare la memoria di quel periodo, fino a leggi che, ad esempio, nelle Repubbliche baltiche, hanno fatto mettere fuori legge i simboli stessi del comunismo. In secondo luogo, molti di questi paesi, ma soprattutto Ungheria e Polonia, stanno cercando di riannodare il filo della memoria con la loro storia prebellica, quasi che il periodo comunista fosse una parentesi.

LO SFORZO
Da qui anche lo sforzo di cancellare leggi o ordinamenti introdotti durante il comunismo, e che nella transizione post 1989 sono stati edulcorati e mantenuti. In tal senso, anche Nagy, che dai comunisti fu ucciso, può essere considerato da molti ungheresi come partecipe di quel regime - cosa che fu in effetti. E tuttavia. Non crediamo che Orban ci legga ma se lo facesse gli chiederemmo di desistere da questa decisione. In primo luogo perché il suo comunismo, Nagy lo scontò con il coraggio con cui diede vita alla rivoluzione del 1956, capace di infliggere all'Urss un colpo che alla lunga si sarebbe rivelato fatale; in ogni caso Nagy scontò il suo comunismo con il martirio. La memoria della dissidenza anti-sovietica, di cui Nagy è tanta parte, che era dissidenza anche in nome della nazione magiara, dovrebbe far parte a pieno titolo dell'identità nazionale di quel paese.

La seconda ragione è che abbattere o far spostare statue (o cambiare nome di vie) è spesso un segno di grande debolezza, più che di forza.
Prendersela con il passato è sempre più facile che affrontare il presente. E questo vale tanto per Orban quanto per tutti coloro, nostri sindaci compresi, presi dalla voglia di pulizia toponomastica. La terza ragione è che far abbattere le statue, come sapevano gli antichi, attira sempre la cattiva sorte.

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