Giovedì le urne hanno inflitto al Labour la sua peggiore sconfitta dal 1935: ha perso 59 seggi, i conservatori hanno espugnato il fortino laburista nel nord dell'Inghilterra, abbattendo il muro rosso del voto della working class. «Nonostante i nostri sforzi, queste elezioni alla fine erano sulla Brexit», ammette adesso Corbyn risultati alla mano. «La campagna Tory, amplificata da molti media, è riuscita a persuadere molti che soltanto Boris Johnson potesse realizzare la Brexit», ovvero lo slogan («get Brexit done») con cui il primo ministro conservatore è riuscito a rimanere a Downing Street conquistando una larghissima maggioranza a Westminster. Corbyn però resta fermo nella difesa della sua linea, ribadendo di essere «fiero» della campagna elettorale, condotta con un messaggio di «speranza» per la Gran Bretagna. Per Corbyn, il messaggio centrale dei Conservatori, «fare la Brexit», è truffaldino: «Nelle città in cui hanno chiuso le acciaierie, non c'era più fiducia nella politica. Ma la promessa di Boris Johnson di fare la Brexit, venduta come un colpo al sistema, è stata creduta». «Purtroppo - prosegue Corbyn - quello slogan si rivelerà ben presto per quello che è, falso, il che minerà ancora di più la fiducia nella politica».
Il destino del leader laburista è comunque segnato. Dovrebbe lasciare la guida del partito all'inizio del mese prossimo: il Labour, ha sottolineato, è deciso a riconquistare la fiducia degli elettori che lo hanno abbandonato. Con lui uscirà di scena anche John McDonnell, cancelliere dello scacchiere ombra ma soprattutto considerato l'ideologo del corbynismo. Con un equilibrismo fuori tempo massimo, McDonnell ha ancora tentato di fare da scudo a Corbyn, assumendosi a sua volta la responsabilità per il «catastrofico» risultato. E anche se «Jeremy era il leader giusto», ha continuato, «adesso ce ne andremo tutti», ha detto annunciando la sua stessa uscita di scena e quella dell'intera leadership che ha portato il partito sul baratro. Il corbynismo non si dissolve nel nulla però. Restano i suoi sostenitori e resta la sinistra del partito, che potrebbe essere ancora una volta determinante nella scelta dei prossimi vertici, se - come previsto da molti - nella corsa per la leadership sosterrà la 40enne Rebecca Long-Bailey, protegè di McDonnell.
Si parla già di una sfida al femminile per sostituire Corbyn - sarebbe la prima volta di una leader eletta per il Labour - e la lista già lunga si arricchisce in queste ore di un nome considerato “soft left”, quello della parlamentare Lisa Nandy, la quale ha fatto sapere di volerci pensare «seriamente».
Nella sua valutazione del risultato elettorale Nandy ha già di fatto scandito la sua linea, affermando che a suo avviso il partito «ha perso il contatto con l'esperienza quotidiana di molte della persone che vogliamo rappresentare». «Dobbiamo capire il Paese se vogliamo rappresentarlo, guardarlo per quello che è veramente e non come immaginiamo che sia».
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