Hamas assedia il Kibbutz, Omer a 19 anni si salva per miracolo. La chat: «I terroristi sono qui, sento le voci»

Omer racconta le ore di paura durante l'attacco dei terroristi nel Kibbutz di Nir Oz dove sono state uccise e rapite un centinaio di persone

Hamas assedia il Kibbutz, Omer a 19 anni si salva per miracolo. La chat: «I terroristi sono qui, sento le voci»
di Elena Giovannini
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Sabato 14 Ottobre 2023, 14:37 - Ultimo aggiornamento: 15 Ottobre, 16:06

«C'è qualcuno in casa, sento che stanno rompendo i piatti in cucina. Ti amo più di ogni altra cosa al mondo, e anche mamma, papà e Amit». Un messaggio disperato in mezzo all'orrore, scritto nella convinzione che potesse essere l'ultimo. Quando Omer Metzger, 19enne israeliana, invia queste parole alla sorella su WhattsApp sono le 9.30 di mattina del 7 ottobre, è nascosta sotto al letto, con accanto i cuginetti di 16 e 13 anni, in un rifugio antibomba. Fuori i terroristi di Hamas stanno assaltando il Kibbutz di Nir Oz, a 5 km da Gaza.  

Qui dall'alba i miliziani sono passati casa per casa, uccidendo decine di persone e dando fuoco alle case fino all'arrivo dell'esercito israeliano intorno alle quattro del pomeriggio. Diverse persone sono state rapite, tra cui anche i nonni della ragazza, di cui non si hanno notizie.

Omer si è salvata per miracolo: nonostante i terroristi siano entrati in casa non hanno aperto la porta del rifugio dove era nascosta con gli zii e i cugini: «La porta non si può chiudere a chiave, sarebbero potuti entrare in ogni momento, ma non l'hanno fatto» racconta in videochiamata, ancora sotto choc «La nostra è stata pura fortuna». 

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La cena in famiglia, poi l'inferno 

La ragazza, che vive nei pressi di Ashkelon, era arrivata nel Kibbutz la sera prima per far visita ai nonni e agli zii per il weekend: «Avevamo cenato insieme, cantato canzoni dopo cena, era una bella serata. Non c'erano allarmi da Gaza». Ora il ricordo di quella cena è l'ultima immagine felice di un posto che non esiste più.

Alle 6 di mattina è iniziato l'inferno: «Ci hanno svegliato le sirene antiaeree e siamo andati nel rifugio, ma inizialmente non ci siamo spaventati perché siamo vicini al confine e l'attacco di razzi è piuttosto frequente». Quasi subito però Omer e gli zii hanno capito che non si trattava del solito attacco aereo. Era iniziato un attacco militare su vasta scala in tutto il paese. 

 

Le ore di terrore: «Mi chiedevo come ci avrebbero uccisi»

L'ipotesi è diventata certezza quando Omer e i suoi familiari hanno sentito le urla in arabo dei terroristi che facevano irruzione in casa. «Abbiamo spento le luci, ci siamo nascosti sotto il letto, mia cugina di 16 anni piangeva. Sono rimasta immobile e muta per circa 5 ore». Fuori le esplosioni e gli spari dei mitra, le case date alle fiamme, dentro il rifugio il silenzio e la paura ceca che da un momento all'altro sarebbe potuto accadere il peggio: «Pensavo che sarebbero entrati, che mi avrebbero uccisa, forse stuprata. Mi chiedevo come ci avrebbero uccisi». 

I messaggi di addio: «Ti amo più di ogni altra cosa»

Il momento peggiore? «Quando ho sentito chiaramente la voce dei terroristi dietro la porta. I rumori di un combattimento in cucina. Ho inziato a tremare e ho scritto a mia sorella, a tutti i miei amici su WhattsApp per salutarli, dovevano sapere che le volevo bene se mi fosse successo qualcosa». Ora che la paura è passata, quei messaggi restano una testimonianza dell'orrore: «I terroristi sono in cucina sento che stanno combattendo» scrive Omer, «In cucina?» risponde incredula la sorella. «Sì». La sorella cerca di farle forza: «Andrà tutto bene, stai tranquilla» «Voglio solo che tu sappia che vi voglio bene, non spaventare mamma e papà».  

L'appello per i nonni

Ora Omer è al sicuro, ma la paura di quei momenti non può dimenticarla. Prima della guerra voleva studiare design sostenibile «Sognavo di fare la mia parte per un futuro più verde per il mio paese. Ora non riesco a immaginare più nulla. Penso solo ai miei nonni, e chiedo anche ai governi europei e a quello italiano di collaborare con Israele per la ricerca degli ostaggi. L'unica cosa che mi importa ora è sapere che fine hanno fatto i miei familiari». 

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