I ricorrenti, che hanno presentato appello il 12 aprile dello scorso anno, accusano i due governi di aver violato il diritto alla vita perché, a causa di «omissioni e ritardi delle autorità italiane e tedesche, la sentenza definitiva non è ancora stata eseguita». «Non vogliamo vendetta, ma giustizia», dice Graziella Rodinò, mamma di Rosario, che a soli 26 anni morì tra le fiamme divampante nei capannoni di corso Regina Margherita. «Siamo arrivati a questo punto per la debolezza del nostro Governo nei confronti della Germania - sostiene Boccuzzi - I nostri appelli al Governo italiano hanno sempre ottenuto promesse di attenzione che non si sono mai concretizzate. È opportuno che si attivi un organo superiore».
La pena per Espenhahn, ex amministratore delegato, è di nove anni, mentre quella per Priegnitz è di sei. «Nessuno di loro - aggiunge Boccuzzi - ha fatto un solo giorno di galera». La Corte di Strasburgo ha invitato Roma e Berlino a fornire tutte le informazioni sullo stato di avanzamento del procedimento di esecuzione della condanna. «La Corte vaglierà se i due governi hanno cooperato diligentemente e rapidamente per la trasmissione dei documenti - spiega il legale dei ricorrenti, l'avvocato Anton Giulio Lana - Se sono state adottate le corrette misure di carattere politico e diplomatico. Il governo tedesco dovrà chiarire il suo temporeggiare nell'eseguire il mandato d'arresto». Da Espenhan e Priegnitz non è mai arrivata ai familiari delle vittime una frase di solidarietà, una parola di conforto.
«Non hanno mai mostrato un pizzico di rimorso - dice Rodinò - Mio figlio è morto. E loro sono liberi. Qualcosa non ha funzionato. Devono andare in carcere, anche solo per qualche giorno. Non è vero che il passare degli anni lenisce il dolore. È uno strazio.
Vederli varcare la porta della cella non mi restituirà la pace - conclude -. E non mi restituirà mio figlio. Ma almeno saprò che alla sua morte non è seguita una beffa».
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