Quattordici anni e tre mesi di carcere. È la condanna chiesta ai giudici dal pm Enrico Pavone per Mahamad Fathe, 25 anni, yemenita, arrestato per tentato omicidio aggravato dalla finalità terroristica. Il 17 settembre dell’anno scorso, armato di forbici, davanti alla stazione Centrale di Milano ha colpito alla gola un militare in servizio nell’ambito dell’operazione strade sicure, che fortunatamente ha riportato solo lievi ferite. Il giovane yemenita si è scagliato contro il militare al grido di «Allah akbar».
Voveva uccidere
Il pm nella sua requisitoria ha citato anche i recentissimi «attacchi di Vienna e Nizza» parlando di «lupi solitari», come Fathe, che hanno fini terroristici anche se non collegati a organizzazioni. «Qui nessuno contesta a Fathe di essere associato a organizzazioni terroristiche, perché non è risultato che avesse contatti diretti.
«Sentivo le voci»
Una perizia psichiatrica ha accertato che il venticinquenne, malgrado fosse in quel momento in uno stato di disadattamento, esasperazione ed alienazione, era capace di intendere e di volere. L’uomo da giorni dormiva attorno alla stazione e ha raccontato di aver agito contro il caporale Matteo Toia in preda a delle «voci» per morire come un «martire». Nell’ordinanza il gip Natalia Imarisio ha rilevato che quella di Fathe è stata un’azione pianificata a cui, come lo stesso yemenita ha messo a verbale, stava pensando da tre giorni. Un’aggressione dettata dal radicalismo religioso e compiuta con lucidità. Gli inquirenti, con il capo del pool antiterrorismo Alberto Nobili, hanno anche approfondito un filone investigativo su eventuali contatti del giovane, già segnalato dalla Germania come simpatizzante dell’estremismo, con organizzazioni terroristiche, ma non erano emersi elementi. Per il pm possono essere concesse le attenuanti generiche perché, sebbene non avesse un vizio di mente, era una persona con problemi. L’arringa della difesa è fissata per il 12 novembre, quando arriverà anche la sentenza.