Stupro di Palermo, il video dell’orrore in un telefono nascosto sottoterra

Il garante della Privacy avvisa i social: bloccare la diffusione di immagini

Stupro di Palermo, il video dell’orrore in un telefono nascosto sottoterra
di Riccardo Lo Verso
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Giovedì 24 Agosto 2023, 00:46 - Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 08:59

Ci sono video dello stupro di Palermo in circolazione. Sono stati condivisi via chat o fatti sparire. Sono diventati prove nascoste, addirittura sottoterra. Bisogna trovare le immagini, perché servono all’inchiesta e perché si deve evitare che finiscano nel tritacarne social.

Sono stati creati dei canali Telegram per rintracciare le immagini della violenza di gruppo. C’è gente disposta a pagare per averli. Tanto basta per fare intervenire il garante della privacy. Ribadisce regole che logica vuole vengano rispettate per tutelare la dignità della diciannovenne. Ma in un contesto dove logica non c’è probabilmente il richiamo al codice penale può essere più efficace: la vittima di una violenza va tutelata, chi divulga informazioni di qualsiasi tipo che possano far risalire alla sua identità o le condivide rischia da tre ai sei mesi di carcere. 

 


L'intervento


L’Autorità con due provvedimenti d’urgenza ha rivolto un avvertimento a Telegram e a chi usa la piattaforma.
Le vicende di Palermo hanno scosso l’opinione pubblica.

Il cantante Ermal Meta, tra i più attivi, ha raccolto migliaia di testimonianze di vittime di abusi e ha deciso di pubblicarle su Instagram perché «devono sapere tutti, questo silenzio degli innocenti deve finire».

E per questo il musicista, che si era esposto sui social dopo lo stupro di Palermo, ha rivolto un appello alla premier Giorgia Meloni: «Non ho votato per lei ma lei - ha detto, visibilmente scosso - è la mia presidente, come lo è di tutte queste donne e mi rivolgo a lei con il massimo rispetto, in quanto carica istituzionale, donna, madre e cristiana: non crede che sia giunto il momento di finire questa mattanza?». 


Sul fronte investigativo è caccia ai video. Sono diversi, brevi ma espliciti e sono stati tutti recuperati nel cellulare di uno degli arrestati. Gli esperti hanno trovato la conferma, però, che i video ma anche delle fotografie sono stati condivisi via Whatsapp con altre persone. Lo diceva per altro Angelo Flores, uno dei sette arrestati, che ha filmato la scena illuminando il buio del cantiere abbandonato teatro dell’orrore. «Li sto mandando a chi li devo mandare e li elimino perché non ne voglio sapere più niente di questa storia», diceva. Samuele La Grassa ed Elio Arnao, altri giovani arrestati, facevano riferimento a qualcosa che bisognava «cominciare a nascondere».

In particolare, un telefonino tenuto «in un magazzino, in un punto sottoterra». Che parlasse di un cellulare emerge dalle parole intercettate all’interno della caserma dei carabinieri: «Manco il carica batteria avevo lì dov’era». 

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