Molestie sul lavoro, per un allusione a un collega si può essere licenziati: la stretta della Cassazione

La Cassazione stringe ancora di più il campo in materia di stupri e consenso da parte di una donna

Molestie sul lavoro, per un allusione a un collega si può essere licenziati: la stretta della Cassazione
di Valentina Errante
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Lunedì 18 Settembre 2023, 07:02 - Ultimo aggiornamento: 10:22

Il consenso può venire meno anche all'improvviso, persino durante un rapporto sessuale, e allora si profila il reato di violenza. Mentre le molestie (anche se soltanto verbali) possono portare al licenziamento legittimo di un dipendente. La stretta della Corte di Cassazione in materia di reati contro la persona arriva con due diverse sentenze: la prima che conferma la condanna a dodici anni per un uomo di Busto Arsizio, accusato di violenza sessuale e maltrattamenti, la seconda che legittima il licenziamento del dipendente di una società, denunciato da una neoassunta, con contratto a tempo determinato, per i continui apprezzamenti a sfondo sessuale.

IL CONSENSO

Per i giudici della Suprema Corte, poco importa cosa sia accaduto prima di un rapporto sessuale tra maggiorenni. La Cassazione stringe ancora di più il campo in materia di stupri e consenso da parte di una donna. Si legge nella sentenza: «Si rammenta che, in tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti tra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza - precisano gli ermellini - che integra il reato di violenza sessuale la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga in itinere una manifestazione di dissenso». E i giudici sottolineano che tale manifestazione può «anche non essere esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà».
I giudici chiariscono: «In altri termini, il consenso iniziale all'atto sessuale non è sufficiente quando quest'ultimo si trasformi in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalità non volute dalla persona offesa». Era stata una sofferta testimonianza in aula della vittima a rivelare i dettagli dei rapporti sessuali con il marito: la donna aveva riferito di essere stata costretta a proseguire nonostante l'espressa richiesta di smettere.

LE MOLESTIE

Riguarda invece le molestie sul luogo di lavoro, la seconda sentenza della Corte. I giudici chiariscono che non occorre che ci sia un approccio fisico per integrare il reato di molestie, che può portare al licenziamento di un dipendente. La Cassazione ha confermato così la decisione della Corte di appello di Firenze che aveva già respinto il reclamo di un dipendente autore di molestie verbali nei confronti di una giovane collega neoassunta, con contratto a termine, e assegnata a mansioni di addetta al banco del bar. La lavoratrice aveva denunciato per due volte i comportamenti dell'uomo alla direzione aziendale: allusioni a sfondo sessuale, non gradite, che per la Corte erano idonee violare la dignità della donna. Tanto da legittimare il licenziamento dell'uomo, che invano si era giustificato sostenendo che non vi fosse alcuna volontà offensiva e che tra i colleghi il clima era sempre stato goliardico. Nel giudizio la procura generale aveva sollecitato la conferma del licenziamento per giusta causa, considerando molestie «quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo».

ALLUSIONI INDESIDERATE

Per la Cassazione la discriminante è il «carattere indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale». Si legge nella sentenza: i giudici di appello «hanno valutato che il carattere comunque indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, risulti integrativo del concetto e della nozione di molestia, essendo questa e la conseguente tutela accordata, fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell'effetto prodotto». E poco importa, secondo gli ermellini, che l'uomo non avesse alcuna volontà di recare una offesa. Il dipendente licenziato aveva anche tentato di screditare la vittima, sostenendo che fosse inattendibile, ma, sottolineano ancora gli ermellini, «i fatti sono stati accertati attraverso le prove acquisite, i testi escussi hanno avvalorato le allusioni verbali e gestuali a sfondo sessuale». Una circostanza che, scrivono, «risulta integrativa del concetto e della nozione di molestia».

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