Ex marito spende troppo per mantenere l'amante: la Cassazione impone un tutore per assicurare l'assegno all'ex moglie

L’uomo aveva già dilapidato 500mila euro. «Prodigalità eccessiva per le sue possibilità»

Ex marito spende troppo per mantenere l'amante: la Cassazione impone un tutore per assicurare l'assegno all'ex moglie
di Valentina Errante
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Giovedì 11 Aprile 2024, 21:57 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 09:45

Sperperare il proprio patrimonio si può, ma non al punto da non potere assolvere agli obblighi familiari (ossia l’assegno di mantenimento per la ex) e da pesare sulla collettività, chiedendo addirittura i sussidi allo Stato. Così la Cassazione ha dato ragione a una donna di Ferrara che, dopo essersi separata consensualmente, aveva chiesto al Giudice Tutelare del tribunale di nominare un amministratore di sostegno per l’ex marito benestante, intento a dilapidare il proprio patrimonio con l’amante romena. Oltre 500mila euro in breve tempo. I giudici di primo grado avevano accolto l’istanza, ma il provvedimento era stato poi annullato in appello. La Suprema Corte ora ha bocciato la sentenza e ha dato ragione alla signora esasperata: ruota tutto sul concetto di prodigalità, già definito dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo.

LA VICENDA
L’uomo aveva iniziato a manifestare «un comportamento improntato alla prodigalità, con abituale larghezza nello spendere, rischiando eccessivamente rispetto alle proprie condizioni socioeconomiche e non riconoscendo più alcun valore oggettivamente attribuibile al denaro, tanto che detto comportamento - si legge nel provvedimento - aveva comportato una dispersione patrimoniale di circa 512mila euro».

L’ex marito non era affetto da alcuna patologia psichica, era pienamente in grado di intendere e di volere, non era inoltre una persona definibile come “fragile” e, soprattutto, non era suggestionabile, così, avvalendosi di medici a sostegno della sua tesi, era riuscito ad avere ragione. Eppure aveva venduto un milione e 242mila euro di fondi agricoli e ai giudici e al tutore non aveva dato conto dell’utilizzo della metà della somma. La Corte d’Appello aveva osservato: «l’amministrazione di sostegno non è finalizzata alla conservazione del patrimonio», concludendo che la coniuge separata, che lamentava il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, «aveva altri strumenti per soddisfare o garantire il suo credito». 

PRODIGALITÀ
Spiega la Cassazione: «Se una persona è libera di disporre del proprio patrimonio, anche in misura larga e ampia, assottigliando ciò di cui legittimamente dispone, non può però ridursi nella condizione in cui, non solo non sia più in grado di assicurare i doveri di solidarietà già posti a suo carico (l’aiuto all’ex coniuge), ma finanche quelli in favore della propria persona, altrimenti costretta a far ricorso agli strumenti di aiuto pubblico da richiedersi a dispetto delle proprie capacità di vita dignitosa». I giudici si soffermano sulla «condizione di prodigalità», definita come un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare in maniera eccessiva ed esorbitante «rispetto alle proprie condizioni socio-economiche e al valore oggettivamente attribuibile al denaro, che configura autonoma causa di inabilitazione, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermità».

Conclude la Cassazione: «Quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purché sia ricollegabile a motivi futili (ad esempio, frivolezza, vanità, ostentazione del lusso, disprezzo per coloro che lavorano, o a dispetto dei vincoli di solidarietà familiare)». Si richiamano così ai diversi pronunciamenti della Cedu che ha precisato come sia necessario «perimetrare la concreta misura da applicare in termini di proporzionalità perché privare una persona della sua capacità giuridica, anche in parte, è una misura molto grave che dovrebbe essere riservata a circostanze eccezionali». La Cassazione sottolinea come la prodigalità di per sé non costituisca necessariamente espressione di una patologia psichica o psichiatrica e può non essere basata su una constatazione di alterazione delle facoltà mentali del beneficiando attestata da medici, ma su concrete condotte tali da porlo a rischio di indigenza. Quindi bacchetta la Corte d’Appello di Bologna che «non ha fatto retta applicazione dei principi richiamati, laddove viene affermato, sulla base della disamina della consulenza medico legale che l’uomo non è affetto da patologie psichiche e da ciò si deduce che difetta la prova che sia affetto da prodigalità».

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