Kata, ora c’è il movente: «Un tentato omicidio dietro il rapimento. Ritorsione per l’uomo lanciato da una finestra»

La guerra tra peruviani ed ecuadoregni non è finita: «C’è il rischio di altri delitti»

Kata, ora c’è il movente: «Ritorsione per l’uomo lanciato da una finestra»
di Valeria Di Corrado, nostra inviata
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Domenica 18 Giugno 2023, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 19:48

Chi ha rapito la piccola Kata nell’ex hotel Astor voleva vendicare il tentato omicidio di Santiago Manuel Medina Pelaez, uno degli abusivi che abitava nella stessa struttura sgomberata ieri su ordine del Tribunale di Firenze. I due episodi, infatti, sono legati a doppio filo: sono avvenuti a distanza di due settimane l’uno dall’altro e sarebbero il risultato di una faida interna tra due comunità di immigrati sudamericani, che gestivano il racket delle occupazioni nel palazzo e altri traffici loschi. Il sequestro di Mia Kataleya Chicllo Alvarez «sembra trovare spiegazione nei rapporti conflittuali che sono sfociati in delitti con denunce reciproche maturati nell’ambito dell’occupazione abusiva dell’hotel Astor all’interno della comunità di peruviani ed ecuadoregni per il possesso delle stanze dell’albergo», spiega il giudice delle indagini preliminari Angelo Antonio Pezzuti nel decreto con cui venerdì ha disposto il sequestro preventivo dell’immobile di via Maragliano 101. Secondo la ricostruzione fatta finora dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano, diretta dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli, il movente del rapimento della bimba peruviana di 5 anni - scomparsa il 10 giugno - è da ricondurre al tentativo di uccisione dell’ecuadoregno Medina Pelaez, spinto giù il 28 maggio scorso da una finestra del terzo piano dell’ex albergo - non si sa per mano di chi - e salvatosi miracolosamente dopo un volo di 8 metri.

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IL DEGRADO ECONOMICO

I due fascicoli fanno parte di un’unica inchiesta, alla quale fa da corollario l’indagine per invasione e occupazione abusiva del palazzo alla periferia nord di Firenze, «a carico di persone al momento ancora da identificare».

Che, poi, altro non sono che le famiglie sgomberate ieri. La scelta di farle traslocare è dettata «dal pericolo che il protrarsi della condotta criminosa, impedendo i necessari e urgenti lavori di ristrutturazione e messa a norma dell’edificio occupato, agevoli o protragga le conseguenze del reato contestato o agevoli la commissione di altri reati», si legge nel decreto di sequestro preventivo. «Come evidenziato dal pubblico ministero, le persone che attualmente dimorano abusivamente nell’hotel Astor - spiega il gip - vivono in condizioni di assoluto degrado economico, e alcuni fanno spesso uso di sostanze alcoliche, che portano anche a episodi criminosi, che hanno come luogo cardine tale struttura alberghiera, come testimoniato dagli accadimenti conseguenti al tentato omicidio di Santiago Manuel Medina Pelaez».

LE DENUNCE

Carlo Vadi, amministratore unico e legale rappresentante della società Pax srl (proprietaria dell’hotel Astor), lo scorso 19 settembre aveva denunciato alla polizia che l’edificio era stato nuovamente occupato, nonostante avesse fatto «puntellare le porte di ingresso e installare del filo spinato lungo il muro perimetrale». Lo stabile, come aveva spiegato il proprietario, era privo di allacci ad acqua, gas ed elettricità, senza la certificazione anti-incendi e quindi «non era agibile né visitabile». Nonostante questi accorgimenti, 17 nuclei familiari censiti il 17 novembre scorso - composti da 54 persone, tra cui 19 minorenni - avevano preso possesso del palazzo di via Maragliano; un tempo inserito anche nel sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. L’albergo, chiuso a causa della crisi del turismo legata al Covid, nelle intenzioni di Vadi avrebbe dovuto riaprire lo scorso febbraio, ma gli occupanti abusivi (che nel frattempo sono più che raddoppiati) lo hanno impedito. E quelle stanze sono diventate “teatro” di una serie di crimini, fino al tragico rapimento di Kata. Da qui l’urgenza di sgomberarlo e perlustrarlo in ogni anfratto, grazie ai mezzi tecnologici dei carabinieri. «Nel caso in esame il pericolo descritto appare reale e concreto - conclude il giudice delle indagini preliminari - sia con riferimento alla totale assenza di minimi livelli di sicurezza e di igiene, sia relativamente alle conseguenze della distribuzione illecita degli spazi tra gli occupanti».

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