Giulia Lavatura, lo psichiatra Piccinni: «Malati psichici soli dopo il Tso, mancano forme di assistenza a casa»

Lo psichiatra: mai attivate le strutture intermedie tra ricovero e ritorno in famiglia, lo Stato dovrebbe fare di più

Giulia Lavatura, lo psichiatra Piccinni: «Malati psichici soli dopo il Tso, mancano forme di assistenza a casa»
di Michela Allegri
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Lunedì 8 Gennaio 2024, 22:41 - Ultimo aggiornamento: 10 Gennaio, 07:38

Il problema è ampio: «Non si tratta solo di madri affette da depressione. In Italia la psichiatria sta vivendo un momento di enorme difficoltà e molto spesso le famiglie vengono lasciate sole ad affrontare situazioni molto complicate». Lo spiega Armando Piccinni, professore di Psichiatria presso la Saint Camillus International University of Health and Medical Sciences, fondatore e presidente della Brain Research Foundation, Istituto per la ricerca scientifica in Psichiatria e Neuroscienze.

Professore, cosa può essere successo nella vicenda di Ravenna?

«Il depresso puro è una persona priva di volontà, di energie, molte volte resta accasciato in un letto e non ha forza di muoversi.

Soffre così tanto che pensa che l’unico rimedio sia la morte. Però i soggetti che effettivamente prendono questa decisione, e hanno questa energia, presentano molte volte una condizione di depressione mista ad agitazione, oppure hanno un disturbo dell’ossessività, o dello spettro del panico. Lo stato misto è una condizione in cui soggetto è contemporaneamente depresso e agitato, le due condizioni producono oscillazioni velocissime dell’umore, provocano rabbia, vendicatività, aggressività. La signora, prima di compiere il gesto estremo, ha scritto in un post sui social insulti e offese nei confronti di parenti e colleghi. Potrebbe quindi trattarsi di un disturbo dell’umore, anche se è chiaro che il professionista della salute mentale che aveva in trattamento la paziente è l’unico che può dire con esattezza quale fosse la diagnosi».

Cosa passa nella testa di una madre che decide di togliersi la vita, portando con sé la figlia?

«In questo caso si parla di suicidio allargato, la madre probabilmente aveva la convinzione di evitare alla figlia il dolore, oppure non sopportava l’idea che, in sua assenza, la figlia potesse venire allevata da un’altra donna, o da questi parenti che lei detestava. Quindi ha preferito portarla con lei nel gesto estremo. L’idea paradossale è quella di portare con sé la figlia in modo che nessun altro possa maltrattarla, o allevarla ed educarla in maniera sbagliata. Voleva evitare che la piccola subisse le stesse angherie alle quali pensava di essere stata sottoposta».

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Quali saranno i prossimi passi dell’inchiesta, dal punto di vista medico?

«Prima di tutto bisognerà accertare con precisione di quale disturbo soffrisse la signora. Ci sarà una verifica su diagnosi, terapia, visite, frequenza. Verrà fatta una perizia psichiatrica nella quale verranno valutate anche le condotte terapeutiche».

Pensa che in Italia le madri che soffrono di patologie psichiatriche ricevano un sostegno adeguato?

«Il problema è molto più ampio e non è solo legato alle madri affette da depressione. La psichiatria in Italia sta conoscendo un momento di enorme difficoltà, che parte da lontano. Secondo i piani, la legge Basaglia, che ha abolito i manicomi, avrebbe dovuto creare una serie di strutture intermedie tra il ricovero in trattamento sanitario obbligatorio, che serve per tamponare l’acuzie della malattia mentale, e il ritorno in famiglia. Queste strutture avrebbero dovuto accompagnare il paziente dal reparto chiuso di psichiatria al rientro nella sfera domestica. In realtà, se non in rarissimi casi, non sono state costruite. Per le famiglie la situazione è spesso drammatica, perché dopo massimo 14 giorni di ricovero in reparto si ritrovano in casa un paziente che o è stato estremamente sedato, e se non dovesse essere seguito adeguatamente riesplode e torna nel vortice dei ricoveri, oppure, se la situazione familiare è di fragilità, può essere pericoloso. Parlo di genitori anziani con figli di 40 o 50 anni psicotici, aggressivi. Nella memoria di qualsiasi psichiatra ci sono tantissimi casi: smettono la cura, sulla scia di un momento di eccitamento in cui si sentono forti, e aggrediscono i genitori, a volte li uccidono addirittura, ci sono case distrutte, sfondate. In Italia il manicomio è stato chiuso, ma è stato trasferito nelle case di tanti italiani che hanno pochissimi aiuti».

Quale potrebbe essere una soluzione?

«Ci vorrebbe un intervento deciso dello Stato, un incentivo serio in sostegno delle famiglie. Sarebbe necessario costruire nuove strutture. Ci sono reti di case di cura private, o convenzionate, che ricevono questi pazienti e in pratica li manicomializzano, li sedano. Il Covid ha fatto precipitare ulteriormente la situazione. Il personale paramedico e gli psichiatri scarseggiano. Lo Stato dovrebbe investire di più».

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