Hanno abbandonato la città per trasferirsi in luoghi isolati, senza comodità, in montagna, nei boschi, in siti difficilmente raggiungibili. Vivono in solitudine ma sempre disponibili all'accoglienza. Coltivano orti, fanno il pane, insomma provvedono in modo autonomo alle esigenze quotidiane. Si dedicano alla preghiera e ad ascoltare i pellegrini. Sono aperti al dialogo, in alcuni casi pure tramite social. Sono circa 300 tra uomini e donne, stando alle stime più recenti, gli eremiti, oggi, in Italia. E i numeri sono in crescita. Così come l'interesse e il desiderio di condivisione.
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IL RADUNO NAZIONALE
In Molise, al Santuario di Castelpetroso, domenica scorsa si è chiuso il primo raduno nazionale di eremiti, evento mai realizzato in Italia, promosso dall'arcivescovo di Campobasso-Bojano, monsignor Giancarlo Bregantini. «I grandi conventi si stanno spopolando e aumentano le richieste di vita eremitica da parte di frati, suore, preti, pure laici - spiega monsignor Bregantini - ciò si accompagna a un fenomeno parallelo.
L'interesse sale anche tra i laici. Gli eremi sono meta di veri e propri pellegrinaggi. «La vocazione da eremita si è delineata nel tempo - prosegue suor Margherita - Ero abituata a una vita sobria. Qui, ho avuto qualche difficoltà iniziale, specie per le rigide temperature invernali. Nella stagione più fredda, sto vari mesi nell'eremo, senza uscire. In generale, coltivo il mio orto, faccio il pane da sola, sono abbastanza autonoma». Fino a poco tempo fa, a farle compagnia, c'era solo un lupo, oggi sono tanti fedeli ad andarla a trovare. «D'estate, vengono in molti per conoscermi, pregare, chiedere consigli per la vita». Ricercatrice in Francia, presso la Sorbona dal 1977 al 1989, suor Mirella Muià, nel 2012 è stata consacrata monaca eremita diocesana e le sono stati affidati l'eremo dell'Unità e la Chiesa di Santa Maria di Monserrato in Gerace. «Fino a 40 anni, il nulla, il vuoto. Poi Cristo ti ripesca, aspetta che tocchi il punto più basso», racconta. Ha una figlia, volontaria in Amazzonia.
IL FRATE
Frate Frédéric Vermorel usa la sua pagina Facebook per commentare passi del Vangelo. Nato in Francia nel 1958, dopo aver girato il Mediterraneo, nel 2003 si è trasferito nel romitaggio di Sant'Ilarione, in provincia di Reggio Calabria. «La fuga dal mondo è fuga dalla mondanità, non da dolori e gioie dell'uomo - afferma - e l'eremo è come la cassa di risonanza di una chitarra, i dolori del mondo si amplificano». Sono passati ventisei anni da quando padre Ernesto, sacerdote dal 1967, parroco per oltre due decenni, ha scelto di lasciarsi alle spalle la vita in città e insediarsi nell'eremo di San Nicodemo, in Aspromonte.
Era il 1996 quando Fra Taddeo, 52 anni, giunto dalla Polonia, si è ritirato nell'eremo di San Fiorenzo, nell'Appennino umbro-marchigiano. Storie differenti, passati anche travagliati, che sanno farsi risposta alle domande di molti. Perché, forse, come diceva Fra Taddeo durante il lockdown, «Io sono matto che vivo qui, ma voi siete matti che vivete in quel mondo di là».