Alviero Martini, la società di alta moda commissariata per sfruttamento. Un lavoratore cinese: «Pagato 1.25 euro a tomaia»

L'amministrazione giudiziaria è stata disposta dalla Sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale di Milano

Commissariata l'azienda di alta moda Alviero Martini per sfruttamento. Un lavoratore cinese: «Pagato 1.25 euro a tomaia»
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Mercoledì 17 Gennaio 2024, 12:51 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 20:16

In riferimento all’articolo dal titolo “Alviero Martini, la società di alta moda commissariata per sfruttamento. Un lavoratore cinese: “pagato 1,25 euro a tomaia”, pubblicato in data 17.1.2024 si precisa, nello specifico, che: 

- Le attività illecite oggetto delle indagini della Procura non sono state commesse da Alviero Martini S.p.A. né da soggetti appartenenti alla sua rete autorizzata di fornitori. Il riportato ricorso a “laboratori cinesi” è imputabile esclusivamente a sub-fornitori non autorizzati, illegittimamente inseriti nella filiera produttiva, in violazione dell’espresso e specifico divieto che la Società impone a tutti i propri fornitori. Dalle indagini della procura è emerso che due dei fornitori della Società sono ricorsi a sub-fornitori non autorizzati. Di detta circostanza la Società non era al corrente e sta adottando gli opportuni provvedimenti. 

- La Alviero Martini S.p.A. non è soggetta ad alcun commissariamento, termine che implicherebbe la sottoposizione della Società a gestione commissariale in sostituzione degli organi attualmente preposti all’amministrazione, in quanto eventualmente giudicati non idonei. Si significa, al contrario, che non solo la Società e i suoi organi amministrativi non sono in alcun modo indagati per le incresciose condotte appurate dalla Procura di Milano, ma gli stessi continuano ad operare in piena autonomia, salvo l’affiancamento da parte di due Amministratori Giudiziari, incaricati di supportarli nella sola attività di monitoraggio della filiera produttiva. 

- La Alviero Martini S.p.A. non ha tratto alcun profitto dalla commissione degli illeciti riscontrati dalla Procura. La Alviero Martini S.p.A. ha pagato i propri fornitori diretti, incaricati della façon dei prodotti, secondo prezzi di mercato e non ha pertanto tratto alcun profitto dai ricarichi effettuati dagli altri soggetti appartenenti alla catena di produzione non autorizzata mediante illecito sfruttamento del lavoro. I prezzi a cui “i prodotti uscivano dagli opifici cinesi” riportati dalla stampa sono di gran lunga inferiori a quelli pagati dalla Alviero Martini S.p.A., a seguito della catena di rincari, ai propri fornitori autorizzati. I costi in questione, tra l’altro, costituiscono solo una delle voci di costo necessarie per la realizzazione del prodotto finale fino alla immissione in commercio, cui vanno aggiunte, tra l’altro, quelle per l’acquisto e le lavorazioni delle materie prime e degli accessori- come pellami, tessuti, accessori metallici - e altre innumerevoli voci accessorie quali, a titolo esemplificativo, trasporto, packaging, etichettatura, ecc.

Avv. Marzia Scura
 

Alviero Martini spa, commissariata l'azienda di alta moda. A disporre l'amministrazione giudiziaria è stata la Sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale di Milano in un'inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e del pm Paolo Storari.

L'azienda , specializzata in borse ed accessori, «ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell'ambito del ciclo produttivo». Sarebbero stati massimizzati i profitti usando «opifici cinesi» e «facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina».

Il commissariamento

Il commissariamento è stato disposto dalla Sezione misure di prevenzione, presieduta da Fabio Roia, a carico dell'azienda fondata nel '91 e con sede a Milano, che produce in particolare borse e accessori famosi per le mappe geografiche disegnate. Stando agli accertamenti, l'impresa non avrebbe «mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative» e «le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato».

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L'appalto

È stato accertato che «la casa di moda» avrebbe affidato «mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l'intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi». E le aziende appaltatrici, però, avrebbero «solo nominalmente» una «adeguata capacità produttiva e possono competere sul mercato solo esternalizzando le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi grazie all'impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento».

«Lavoratori a 1.25 euro a tomaia»

«Vengo pagato 1,25 euro a tomaia (la parte superiore di una scarpa, ndr) durante la settimana dormo sopra la ditta al piano primo presso locali adibiti a dormitorio (...) in una giornata lavorativa produco circa 20 paia di scarpe (...) percepisco un bonifico mensile di circa 600 euro che ci paga il titolare che produce tomaie relative all'azienda Alviero Martini». È solo una delle testimonianze dei lavoratori cinesi impiegati negli opifici che avrebbero lavorato per produrre per conto dell'azienda di alta moda, sottoposta oggi ad amministrazione giudiziaria dai giudici Roia-Rispoli-Cucciniello, nelle indagini per sfruttamento del lavoro del pm di Milano Paolo Storari. I lavoratori, stando agli atti, percepivano paghe al di sotto della soglia di povertà, ossia poco più di 6 euro all'ora, e stavano in luoghi con «micro camere, completamente abusive», con «chiazze di muffa» e con «impianti elettrici di fortuna».

La testimonianza

Un altro operaio ha messo a verbale: «Percepisco 50 centesimi ogni fibbia rifinita (...) non sono mai stato visitato dal medico dell'azienda». Durante la settimana dormivano nei dormitori «abusivi» degli opifici e solo nel fine settimana tornavano nelle loro «abitazioni». Stando alle indagini, per un prodotto venduto sul mercato a 350 euro l'opificio cinese si sarebbe fatto pagare 20 euro. Seguendo la catena dei subappalti della produzione, poi, l'azienda di alta moda, secondo gli investigatori, avrebbe pagato il prodotto finale 50 euro. Venduto, poi, a 350 euro.

La nota

«Tutti i rapporti di fornitura sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato». Lo precisa la Alviero Martini. La società precisa anche di «essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità, non essendo peraltro indagati né la società né i propri rappresentati, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro». «Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l'azienda stessa» conclude la nota.

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