Yara e strage familiare. Il giorno più brutto e l'impossibile gerarchia dell'orrore

Yara e strage familiare. Il giorno più brutto e l'impossibile gerarchia dell'orrore
di Maria Lombardi
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Martedì 17 Giugno 2014, 01:09
un caso po’ malvagio che tutto accada in un giorno e che si debba dare una gerarchia all’orrore. Cosa mettere sopra?

La foto del muratore con gli occhi freddi o quella dello sposo sorridente? A chi dare - nei siti e nei giornali - il titolo in alto? All’assassino di Yara o all’uomo che ha cancellato con un coltello la sua famiglia? Si sceglie, infine, si deve, e come è inevitabile che sia i due ritratti finiscono più o meno vicini in un giorno come questo, senza pietà: mostro 1, al momento presunto, e mostro 2, il reo confesso.



Eccoli. Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, biondo con la barba curata, una faccia che non si ricorda e adesso è facile notare quello sguardo sfuggente e quel sorriso immobile, in realtà è un volto qualunque. Il dna dice che è stato lui a uccidere Yara Gambirasio, la scienza si ferma qui e non indaga le ragioni degli uomini e non disegna con la stessa esattezza la rabbia e la follia. La ragazzina di tredici anni - altra inevitabile cattiveria della cronaca - è accanto al suo mostro, sorride mostrando l’apparecchio dei denti o appare concentrata nell’eseguire una perfetta spaccata.



Carlo Lissi è accanto alla donna che è appena diventata sua moglie, sembra un bel giorno, quello e gli altri che verranno, una famiglia serena, così la descrivono i vicini. Cristina Omes si lascia abbracciare dall’uomo che diventerà - il 16 giugno 2014 - il mostro 2. In piccolo, accanto a questa, la foto del salone, nella villetta del massacro.

Due storie così in un giorno, un macabro collage di immagini. Yara e il lungo mistero finito ieri. La mamma e i suoi due bambini sacrificati per un vago desiderio di libertà, un giallo di poche ore. C’è la casualità di una data, ad accomunare Bossetti e Lissi, c’è l’immensità del male che hanno fatto - per il primo è il caso di dire avrebbe fatto - c’è l’impossibilità di dare una ragione a tanta crudeltà perché qualunque ragione apparirebbe troppo piccola e renderebbe quel male ancora più irragionevole e smisurato.



Ma c’è dell’altro ad avvicinarli: tutti e due hanno - nel primo caso, ripetiamo, avrebbe - ucciso e poi finto un’impossibile normalità. Bossetti per quasi quattro anni, Lissi per qualche ora. Il muratore ha continuato la fare la sua vita ordinata da «tipo tranquillo», su facebook le foto di moglie, figli, cani e gatti. Apparire sereno e mentire al punto da far sparire ogni menzogna. Lissi è uscito di casa, ha chiuso dietro una porta il sangue dei suoi bambini e di sua moglie, ed è andato a tifare per l’Italia, con gli amici, come in una serata qualsiasi. Ha esultato per Marchisio e Balotelli, agli inquirenti ha raccontato una storia inverosimile e ha insistito nelle sue bugie finché ce l’ha fatta. La lucidità dei mostri, la freddezza di chi ha un piano, lo sdoppiamento e l’inganno. Si incrociano, per un giorno, due storie così ed è un caso malvagio.
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