Come insegna il Vangelo, è necessario e persino utile che gli scandali avvengano. Tuttavia la vicenda del magistrato Catello Maresca, che in questi giorni sta occupando le prime pagine dei giornali, non può essere definita con un termine così severo. Lo scandalo è infatti un evento improvviso e inatteso che offende il nostro senso civico, come fu, ad esempio, quello dei petroli, o di tangentopoli, o dello stesso Palamara: tutti fatti di cui si poteva anche sospettare l’esistenza, ma che sono esplosi con l’impeto di un uragano.
Il caso Maresca è invece perfettamente conforme alla legge e alla consuetudine, simile a tanti altri ben noti agli addetti ai lavori. Se ora ha suscitato tanto clamore, è probabilmente perché il prestigio della magistratura è così affievolito da consentire alla politica e alla stampa quelle critiche fino a ieri frenate dal verecondo timore di qualche rappresaglia giudiziaria. Per la verità la ministra Cartabia aveva già da tempo individuato queste anomalie e ne aveva proposto i rimedi, ma la sua voce era caduta nel silenzio.
Quale sarebbe dunque questo presunto scandalo? Sarebbe quello di cumulare contemporaneamente due funzioni incompatibili. Il dottor Maresca, candidatosi senza successo a sindaco di Napoli, è infatti stato eletto consigliere comunale; ha chiesto di ritornare a fare il giudice, e il Csm gli ha assegnato un posto alla Corte d’Appello di Campobasso. Il magistrato ha quindi assunto, come Giano bifronte, il volto di duplice consigliere: di qua al Comune, e di là alla Corte. O, se si preferisce, viene a trovarsi, come Cesare ad Alesia, assediante e assediato, visto che i titolari di cariche amministrative sono notoriamente assediati da inchieste penali. Una parte dei membri del Csm si è astenuta, ma la maggioranza ha accolto la richiesta. E la ragione è molto semplice: perché questo prevede la legge.
Un cittadino ordinario, ancorché inesperto di giuridichese e refrattario alle divagazioni speculative, si domanderebbe che razza di legge sia. Rispondiamo che - per quanto stravagante e bizzarra - è una legge che si inserisce tra le altre, altrettanto irragionevoli e nefaste, che disciplinano la carriera o, come si dice, lo “status” dei magistrati. Casi come quello del dottor Maresca non sono infatti né nuovi né ignoti, e a dire il vero non rappresentano nemmeno il difetto maggiore di questo sistema quasi metafisico.
V’è anche dell’altro. Abbiamo avuto, e abbiamo, esempi di altissimi magistrati usciti dall’ordine per limiti di età, che pochi giorni, o poche settimane dopo il pensionamento hanno chiesto, e ottenuto, un posto assai appetibile nelle liste per le elezioni politiche o europee. E poiché una candidatura non si improvvisa in poche ore, ma è frutto di lunghe e laboriose e trattative, è logico domandarsi se questi magistrati non avessero avuto approcci preliminari con un partito mentre ancora indossavano la toga. La loro imparzialità pregressa ne esce in tal modo vulnerata, ed è garantita solo dall’asseverazione di autonomia, indipendenza, ecc. ecc. autocertificata dallo stesso interessato.
Ora la ministra Cartabia, smentendo il corruccio di Amleto che la fragilità si chiama donna, ha ribadito con l’energia e lo stile che la contraddistinguono la necessità di cambiare questo stato di cose. Purtroppo le competenze di un ministro sono limitate, perché sta al Parlamento riformare le leggi, e dubitiamo che quello attuale abbia la volontà e la capacità di farlo, o almeno di farlo in modo efficace. Ma forse il caso Maresca può costituire un impulso utile. Dopo tanti anni di acquiescenza supina , la politica cerca di riappropriarsi il suo ruolo. Per la supremazia delle toghe forse non sarà l’inizio della fine, ma almeno è la fine dell’inizio.