Gianni Bessi

L’impianto di Roma/ Se la crisi energetica può risolversi con i rifiuti

di Gianni Bessi
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Martedì 24 Maggio 2022, 23:59

Il rapporto tra Unione Europea e Russia in merito alle forniture di gas continua a produrre aggiornamenti e accelerazioni quotidiane, come anche situazioni ambigue, non sempre facili da seguire. L’esempio più chiaro di questa situazione è l’aumento registrato a inizio maggio dei flussi di metano: questo accade perché i trader sono incentivati a importarne la quantità maggiore possibile, dal momento che i prezzi definiti al Ttf olandese – il mercato all’ingrosso del gas – sono favorevoli. 


Del resto, sebbene è convinzione comune che i prezzi siano definiti da manovre geopolitiche, a volte suggerite da esigenze militari o di propaganda, gli stessi vengono fissati dai trader e dai contratti che stipulano con i clienti. Questo non significa che la guerra non incida sulle dinamiche di mercato: infatti, uno scenario che preveda se non la fine della guerra almeno la definizione di accordi di pace, potrebbe generare sviluppi diversi e di segno positivo.


La situazione odierna è ulteriormente complicata da alcuni fattori contrastanti, che creano una nuova “trappola energetica”: anche l’impulso dell’Ue a rendersi indipendente dal gas russo, accelerando il processo di decarbonizzazione, se ci è consentito un accenno di realismo, rende più sfavorevole la possibilità di stipulare contratti a lungo termine – quelli che permettono di mantenere basso il prezzo – e i conseguenti investimenti in infrastrutture. 

Per usare un concetto del direttore ricerche e studi dell’Istituto “Bruno Leoni”, Carlo Stagnaro, «è difficile coniugare i tre imperativi della politica energetica europea: l’abbattimento delle emissioni di CO2, la sicurezza dell’approvvigionamento di metano da fornitori diversi dalla Russia e il contenimento dei prezzi».
Ciò non implica che l’Ue debba abbandonare l’obiettivo di rendersi indipendente dal metano russo o di procedere nel suo cammino della transizione energetica. Tutt’altro. E proprio pochi giorni fa è stato presentato il RepowerEu, un aggiornamento agli obiettivi del Green deal, che prevede diversi target sfidanti tra cui alzare l’obiettivo dell’efficienza energetica al 2030 dal 9 al 13 per cento e di incrementare la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili dal 40 al 45 per cento. Ricordiamoci però che non basta alzare l’asticella degli obiettivi perché le cose accadano. A volte propositi ambiziosi, anche se buoni, rischiano di farci fare altri errori clamorosi.

Comunque seguendo le nuove decisioni europee va salutata con favore la decisione di destinare fino a 10 miliardi agli interventi per rendere efficiente la rete di distribuzione, costruendo i collegamenti mancanti e nuovi terminali per il Gnl. Altri 2 miliardi sono stati messi a bilancio per realizzare le infrastrutture che permetteranno di smettere di importare il petrolio russo. 

Sempre per dare sostanza a questa “corsa contro il tempo” per liberarsi dell’ingombrante fornitore, l’Ue ha deciso di sveltire il percorso che permetterà di utilizzare idrogeno e biometano per la produzione energetica: l’obiettivo è di arrivare a 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde di generazione Ue, a cui se ne aggiungeranno altrettante di importazione, e 35 miliardi di metri cubi di gas rinnovabili. 
Pensando all’Italia, la decisione più economicamente utile sarebbe di includere l’energia prodotta dalla termovalorizzazione dei rifiuti.

In realtà in altri Paesi europei, che di certo non possono essere marchiati come no green – pensiamo solo alla Danimarca o alla Svezia – esiste già una consistente produzione di energia e di calore dai rifiuti urbani. In tutte le capitali europee è operativo un termovalorizzatore, mentre a Roma la sua messa in funzione è ancora oggetto di critiche.


Qualche dato aiuta a capire quale sia il potenziale di queste fonti: la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche italiane, Utilitalia, afferma che dal recupero energetico dei rifiuti si otterrebbe un risparmio nelle importazioni di gas dalla Russia di quasi il 5%; per quanto riguarda il biometano, solo prendendo in esame gli investimenti finanziati dal Pnrr nel settore agricolo, si potrebbe raggiungere una produzione aggiuntiva di circa 2,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Sono numeri da tenere in considerazione.


Di uguale importanza sono la creazione di un centro comune europeo per gli acquisti di gas, un tema su cui gli economisti si dividono, e l’adozione di un “cap-prize” che finora, al di là dei casi spagnoli e portoghese, nel RepowerEu è previsto solo come misura straordinaria nel caso la Russia decida di interrompere del tutto le forniture di gas. Fatto sta che, nonostante la situazione lo consiglierebbe, non si parla di una possibile produzione di gas naturale europeo, mentre pare vada benissimo importare il Gnl dall’estero.
Un attore importante di questa nuova scena del gas rimane ovviamente la Cina, che dopo avere barcollato sotto l’ennesima ondata di Covid, combattuta come di consueto a colpi di lockdown, ha ripreso a crescere economicamente. E anche in vista del congresso del partito, che si svolgerà nella seconda metà di quest’anno, il presidente Xi dovrà calare qualche asso, soprattutto in ambito geopolitico ed economico: la crescita economica cinese è ovviamente una variabile che inciderà sul prezzo del gas, facendolo presumibilmente alzare di nuovo. L’unica certezza è che il dragone resta comunque sempre al centro di tutte queste dinamiche.
 

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