Ruben Razzante
Ruben Razzante

Se i social forniscono le indicazioni per delinquere

di Ruben Razzante
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Sabato 7 Ottobre 2023, 00:17

L’era dei social media ha portato con sé una miriade di tendenze e di challenge virali. Alcune di queste sfide sono innocue, come il famoso “Ice Bucket Challenge” che ha raccolto fondi per la ricerca sulla SLA; altre alimentano il fenomeno dell’istigazione a delinquere. C’è infatti un lato oscuro delle challenge sui social media, che spingono i partecipanti a violare la legge e mettono in pericolo la loro sicurezza. Come per l’hate speech, il più delle volte innescato da istigatori seriali che lanciano veri e propri strali al cianuro all’indirizzo di istituzioni e personaggi pubblici, così anche per altre declinazioni della libertà d’espressione la Rete diventa il proscenio ideale per lo sfogo degli istinti più brutali e incontrollati, e per l’esaltazione di pratiche illegali e contrarie alle norme giuridiche e ai principi etici.


Queste challenge social hanno un potere innegabile nell’attirare l’attenzione. Spesso iniziano come innocenti giochi o tendenze, ma possono rapidamente trasformarsi in fenomeni virali. Di solito gli utenti partecipano in massa per cercare di diventare parte di qualcosa di grande e condividere la loro esperienza con il mondo. Tuttavia, la ricerca spasmodica e ossessiva dell’attenzione e della fama online può spingere alcuni utenti a oltrepassare il limite e a varcare la linea di confine tra il divertimento innocuo e la sfera dell’illecito. Il caso di alcune note case automobilistiche che hanno dovuto fare i conti con una vera e propria impennata del numero di furti delle loro automobili, si collega proprio al dilagare di tali usi distorti dei social media. Tanto sono preziosi, infatti, nelle catene umanitarie e nelle cause benefiche, tanto sono devastanti nei loro effetti deleteri quando vengono messi al servizio di pratiche illegali. Da qualche mese, infatti, sulle principali piattaforme social circolano tutorial che “insegnano” agli utenti come superare le protezioni tecnologiche di alcuni modelli automobilistici. Le spiegazioni sono particolarmente dettagliate e spietate, visto che i protagonisti arrivano addirittura ad esibire con orgoglio la refurtiva che sono riusciti a ottenere attraverso le pratiche descritte con dovizia di particolari nei video.


Le ricadute sulla reputazione e l’immagine di quelle ditte automobilistiche sono rilevanti perché i potenziali acquirenti non si fidano più e si indirizzano verso altri modelli di marchi concorrenti.

Non si capisce quanto potranno essere efficaci le rassicurazioni che i produttori hanno provato a trasmettere sul mercato, annunciando di aver investito ingenti somme per mettere a disposizione dei clienti alcuni aggiornamenti dei software in grado di potenziare la sicurezza delle automobili contro i furti e più robusti sistemi elettronici a bordo delle macchine. Tuttavia, l’interrogativo più rilevante riguarda la responsabilità dei social media, che per legge non sono obbligati ad una vigilanza preventiva sui contenuti diffusi in Rete dagli utenti ma devono rimuoverli su segnalazione qualora siano contrari alla legge. I tutorial che funzionano come manualetti di istruzioni per il furto di auto sono certamente pericolosi, incitano alla commissione di reati e dovrebbero essere tempestivamente cancellati e resi inaccessibili. Senza attendere che sia qualcuno a lamentarsi, come accaduto nel caso delle automobili, dovrebbero essere gli algoritmi delle piattaforme ad affinare sempre più i loro filtri, al fine di identificare i contenuti illeciti stroncando sul nascere la loro diffusione.


D’altronde l’art.414 del codice penale, che punisce con la reclusione da uno a cinque anni chi istiga a commettere delitti, precisa altresì che soggiace a quella pena anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti e tale pena è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Nel caso dei tutorial sui furti d’auto siamo di fronte a un’istigazione indiretta, un’esaltazione di attività contrarie alle norme penali, idonee a turbare l’ordine pubblico. Ce n’è abbastanza, dunque, per considerare i social quanto meno corresponsabili di quei video laddove non ne frenasse in modo drastico la circolazione.
 

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