Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Accuse elettorali/ La psicosi del complotto che fa male a tutta l’Italia

di Paolo Pombeni
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Giovedì 14 Ottobre 2021, 00:00

La politica italiana sembra sognare il superamento dell’unità nazionale promossa dal presidente Mattarella come strumento per una gestione efficace, vorremmo dire “costituente” delle opportunità offerte dal piano del Recovery europeo confluito nel Pnrr. La spiegazione banale è che questa situazione non consente ai partiti di gestire come vorrebbero le competizioni elettorali, quelle in corso e quelle future. La nostra cultura politica diffusa è ancora legata all’idea che la lotta debba essere spiegata la popolo come un confronto fra angeli e demoni, perché solo così si mobilitano quelle che una volta erano le mitiche “masse” e perché si è convinti che la gran parte degli elettori non si farebbe coinvolgere in un confronto fra diverse ipotesi di gestione degli interventi pubblici.

Per questo vediamo il continuo tentativo di rilanciare il cosiddetto bipolarismo, agevolato da competizioni come le elezioni di sindaci e presidenti di regione che obbligano alla formazione di coalizioni più o meno omogenee. I politici sono convinti, ma è un vecchio vizio, che questo non precluda poi nella gestione concreta dell’attività parlamentare non solo la possibilità di incontri, ma anche quella di compromessi e intese. Sottovalutano che quando si esaspera polemicamente il clima di contrapposizione nel paese trasformando tutto in una lotta fra il bene e il male, poi si rischia di perdere il controllo della situazione, perché l’esasperazione indotta in una quota dell’opinione pubblica sfocia in un desiderio irrazionale di vedere lo scontro finale fra gli angeli e i demoni.

E’ una storia antica, che va ben al di là della vicenda del fascismo (che pure si nutrì di questo clima e sentimento), e che dunque è un pericolo costante per l’equilibrio di tutti i sistemi politici, ma specialmente di quelli costituzionali a base rappresentativa. L’Italia l’ha sperimentato anche in tempi non lontani negli anni di piombo, quando mitologie sulla resistenza tradita, sul complotto degli imperialismi, sulle rivoluzioni possibili e mancate armarono, anche non metaforicamente, frange convinte che fosse venuto il momento di far scoppiare le contraddizioni del sistema.

Non va sottovalutato che tornino in voga le intemerate contro supposte “dittature” (al posto del proletariato ci sono gli scienziati e i sanitari), in favore di un “popolo” che si sostiene debba riappropriarsi direttamente del potere contro conventicole e camarille, e avanti di questo passo. E’ roba di estrema destra? Sicuramente, ma mutando un po’ qualche accento anche di estrema sinistra. Questo consente che si possa tornare sul tema degli opposti estremismi e si risvegli il fantasma della strategia della tensione: in fondo con l’escamotage degli opposti estremismi ciascuno colpevolizza solo l’avversario al cui album di famiglia attribuisce le deviazioni.

Al momento sono tendenze che ancora si possono tenere sotto controllo, come ha giustamente fatto capire Mattarella, ma bisogna stare attenti a che non debordino. Le “leggende metropolitane”, le psicosi diffuse e quant’altro prosperano in tempi di pandemia (e non solo) e costituiscono un brodo di coltura della violenza che si ammanta di insurrezionalismo.

E’ interesse di tutte le forze politiche prosciugare questo brodo. Incrementare la contrapposizione fra due fronti politici, allargare la faglia che li divide, mette a rischio quella tenuta del governo che a parole quasi tutti dicono di voler assicurare per far finire la legislatura alla scadenza naturale del 2023. Indebolisce poi la posizione internazionale di Draghi, non come persona, ma come vertice di un paese che per i nostri competitori sarebbe troppo facile dipingere come nuovamente preda degli spettri che hanno funestato il suo passato (lontano, ma anche relativamente recente). Non occorre particolare acume per vedere cosa può significare l’ennesimo millantato scontro tra buoni e cattivi non solo con la gestione degli strascichi delle ultime amministrative, ma con la prova da affrontare delle elezioni quirinalizie ad inizio anno e della prossima tornata di amministrative in primavera.

Esperimenti eccezionali come le coalizioni allargate, quasi di unità nazionale, non possono dare frutti se vengono compressi in pochi mesi di luna di miele (che nel nostro caso non c’è mai neppure stata in senso pieno), per tornare poi al travaglio usato (direbbe il poeta). La sfida della grande ricostruzione che ci attende grazie ai fondi europei deve richiamare tutti al senso di responsabilità, comprendendo che non siamo più nel vecchio gioco e nel vecchio mondo in cui la politica italiana è stata allevata. Si deve tenere conto che quel relativo reset del nostro sistema che è necessario per trarre il massimo dalle potenzialità messe a nostra disposizione, vede e vedrà sempre più la rabbiosa resistenza di tutti coloro che da quel reset vengono ridimensionati. Senza cedere a mitologie di “grandi vecchi” e di complottismi, è banale dire che ad essi in fondo non dispiacerà che si torni alle incertezze della strategia della tensione visto che da quella occasione molti trassero opportunità di successo. Ma per il Paese sarebbe un disastro. Lo si è visto allora, non c’è ragione di riprovare a percorrere quella strada.

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