Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Stato e privati insieme per la battaglia sulla natalità

di Paolo Balduzzi
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Venerdì 21 Aprile 2023, 00:16

«Zero tasse per chi fa figli»: al di là del motto, più o meno realistico, è davvero questa la ricetta giusta per uscire dall’inverno demografico? Magari bastassero i soldi pubblici per porre fine alla crisi demografica del Paese. La proposta del ministro Giorgetti, che sarà formalizzata e dettagliata nei prossimi giorni, non sarà certamente sufficiente; tuttavia, certifica almeno una novità: il legislatore ha finalmente preso sul serio il problema del declino della popolazione e del suo invecchiamento. Se mai questa iniziativa andrà in porto, infatti, non si tratterà dell’ennesima controriforma di un governo entrante che cancella ciò che aveva fatto il precedente, ma di una integrazione con tutto ciò che già oggi c’è a disposizione ma che, a conti fatti, non riesce ancora a raggiungere lo scopo prefissato.


Le nuove deduzioni (o detrazioni, si vedrà) per i figli dovrebbero avere valori più elevati di quelle cancellate meno di due anni fa e, soprattutto, non sostituirebbero l’assegno unico, misura introdotta dal governo Draghi e su cui lo stesso governo Meloni ha già investito ulteriormente con aumentato degli importi. Insieme, queste due misure smuoveranno parecchie risorse (lasciando al momento sospeso il capitolo delle coperture). Il dubbio più atroce, tuttavia, rimane il seguente: basterà tutto questo? Perché il sospetto è che la risposta sarà, ancora una volta, negativa. Almeno per tre motivi. Il primo è che i soldi, da soli, non convinceranno mai nessuno a mettere al mondo un bambino. Sicuramente i trasferimenti monetari alle famiglie renderanno meno gravoso il compito di allevare e crescere dei figli, ma ci sono cose che il denaro non riesce né a comprare né a cambiare. Il tempo, per esempio. Una giovane famiglia che attenda un’occupazione stabile per provare a realizzare le proprie scelte familiari, potrebbe di colpo accorgersi che sarà troppo tardi per avere il bambino, o i bambini, che desiderava. Oppure la mentalità: perché ancora oggi, troppo spesso, molti datori di lavoro sono più interessati alle strategie riproduttive delle proprie dipendenti invece che alle loro competenze.

Un assegno staccato dall’Inps può comprare pannolini, cibo, aiutare con le rette scolastiche, ma non permette automaticamente a una persona di realizzarsi sul lavoro senza rinunciare al sogno (e, in termini aggregati, alla necessità) di avere bambini; né, bisogna essere chiari, aiuta a costruire un futuro previdenziale per il genitore che lo riceve e che non sta lavorando. 


Il secondo motivo è che ci vuole estrema fiducia per pensare che misure di questo tipo vengano mantenute davvero per i prossimi decenni. Il terzo, infine, è che lo Stato, malgrado occasionali deliri di onnipotenza, non può davvero determinare i comportamenti umani. Cosa serve, allora? Servizi essenziali, come asili nido e lunghi congedi parentali, di sicuro. Ma ancora di più serve una grande alleanza, o una partnership, come va di moda dire ora, tra pubblico e privato, che abbia un orizzonte temporale di lungo periodo. Questo vale sia per la classe politica, troppo spesso condizionata dalla visione elettorale di breve periodo, sia per la classe imprenditoriale, ove il profitto della propria azienda si confonda al solo profitto individuale. Fortunatamente, non è così raro trovare aziende che investono sul futuro dei propri dipendenti. 


Casi isolati che dovrebbero diventare una regola. Per esempio, Luxottica ha un piano di welfare aziendale che prevede, appunto, la distribuzione di benefici particolari, principalmente in natura, alle famiglie dei propri dipendenti per l’assistenza e la cura dei figli. Ma perché le aziende dovrebbero fare qualcosa? Da un lato, per la natura stessa di chi fa impresa: perché è, o dovrebbe essere, innata nell’imprenditore la volontà di preoccuparsi non solo del proprio profitto (e ci mancherebbe!) ma anche del benessere generale dei propri lavoratori. Dall’altro, perché, dal punto di vista aggregato, le aziende stesse rischiano grosso. L’inverno demografico italiano è infatti destinato a far scomparire intere generazioni di lavoratori, solo parzialmente sostituibili dai flussi migratori. O il Paese, nella sua interezza, fa una scommessa sul futuro, o il Paese finisce. 
 

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