Vittorio Sabadin

Stallo diplomatico/ Il percorso in salita che conduce alla tregua

di Vittorio Sabadin
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Giovedì 7 Aprile 2022, 00:02

I diplomatici che stanno lavorando in questi giorni al dossier ucraino sono preoccupati: la situazione è molto più ingarbugliata e di difficile soluzione di quanto si pensi. I morti, le devastazioni e le violenze contro i civili rendono difficile l’inizio di una vera trattativa e l’idea di processare Putin davanti a una corte internazionale è più una buona intenzione che non un’ipotesi concreta. Fonti vicine ai colloqui che si sono svolti nelle ultime settimane tra i rappresentanti di Europa, Stati Uniti e Gran Bretagna delineano uno scenario molto diverso da quello che si vuole far apparire attraverso le dichiarazioni ufficiali.


Ucraina, Polonia e Lituania stanno collaborando per raccogliere prove documentali dei crimini di guerra. La Lituania collabora perché è terrorizzata dall’imprevedibilità di Putin, ma in generale tutti gli Stati confinanti con la Russia sono preoccupati. Raccogliere prove sembra facile, oggi che ci sono i satelliti e tutti hanno un telefonino, ma non lo è. In tribunale occorrono documenti che resistano all’esame dei giudici e della difesa: video certificati come autentici, testimonianze delle vittime, foto di cui si possa provare l’origine, la data, l’ora, il luogo. Gli imputati avranno i migliori avvocati del mondo. E quando si farà il processo? In questi giorni all’Aja è cominciato quello per i crimini nel Darfour, di cui nessuno si ricorda più. Per la ex Jugoslavia il leader serbo Milošević fu arrestato quando perse le elezioni, la latitanza di Karadžić durò 13 anni.


Gli americani, dicono i diplomatici vicini al dossier, hanno un atteggiamento ambivalente. Biden si è lasciato scappare un appello a processare Putin per crimini di guerra davanti ad un tribunale internazionale, poi gli hanno spiegato che gli Stati Uniti potrebbero essere processati per le vittime civili e le torture in Iraq e in Afghanistan, e non ne ha più parlato, se non in termini generici. L’incriminazione del leader del Cremlino è un’arma spuntata, e lo sanno tutti, anche lui.
Le sanzioni non stanno funzionando e non fermeranno Putin.

Ogni Paese le interpreta a suo modo, ci sono maglie larghe e strette, e non basta sequestrare qualche yacht per la foto sui giornali. Le sanzioni stanno invece spingendo la Russia nelle braccia della Cina. Pechino sul conflitto in Ucraina non dice da giorni più nulla e spera che la nuova cortina di ferro tra l’Europa e Mosca vada a proprio vantaggio. Già controlla l’Asia e l’Africa, ed estendere la sua influenza fino alla Siberia è un sogno che potrebbe avverarsi. L’interesse cinese a ripristinare la pace è pari a zero, osservano i diplomatici.


C’è preoccupazione anche per la grande quantità di armamenti che viene inviata in Ucraina e che sarà impossibile farsi restituire. Ancora si sta cercando di avere indietro le armi inviate in Bosnia, per non parlare di quelle lasciate in Afghanistan. Che si può fare, dunque? La realpolitik non può commuoversi davanti alle foto delle vittime civili: deve fare i conti con la realtà. Di fronte all’invasione, il presidente ucraino Zelensky ha fatto quello che doveva fare, ma i massacri e i processi penali complicano le soluzioni.


Gli incaricati dei governi ragionano su questi temi e non ne parlano all’esterno, per evitare che il fronte compatto dell’Occidente mostri qualche crepa. Ed esaminano le soluzioni possibili. In questi giorni si parla molto della Corea, un Paese diviso in due da un confine dopo una guerra che non è mai finita: nessun trattato di pace è stato ancora firmato. Il confine è considerato provvisorio da entrambe le parti, e l’armistizio che consente a tutti di dire che non hanno perso è in vigore da quasi 70 anni. Sarà questa la soluzione per il Donbass e la Crimea? Forse. Ma intanto ci saranno altre bombe e altri morti. La realpolitik si affaccerà quando potrà farlo, speriamo presto.

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