Alessandro Campi
Alessandro Campi

Il caso dei Fori/ La politica del diversivo e i problemi mai risolti

di Alessandro Campi
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Domenica 16 Luglio 2023, 23:46

C’è la politica dell’illusionismo o delle grandi aspettative: è quella che promette cose che non può, non vuole o non sa realizzare. E c’è la politica del diversivo o della distrazione di massa: è quella che, non riuscendo a fare le cose che servono realmente ai cittadini, prova ad accontentarli con progetti spettacolari, inutili se va bene, dannosi se gira male.
La prima è stata la specialità di molti governi degli ultimi anni: grandi annunci in campagna elettorale, realizzazioni modeste durante la legislatura. La seconda potrebbe diventare il marchio di fabbrica di alcuni assessori capitolini: realizzazioni discutibili, ma ad altro impatto mediatico, al posto di quelle attese o necessarie.

Roma è sommersa dai rifiuti e dalla sporcizia? Si risponde con la trasformazione di via dei Fori Imperiali in un suk post-moderno. Il traffico urbano è fuori controllo e fonte di nevrosi collettive? La soluzione è la realizzazione di un archeo-tram destinato a collegare Palazzo Venezia al Colosseo e di un complesso sistema pedonale ad anello che, unendo tra di loro le diverse aree archeologiche, consenta di visitarle comodamente a piedi o in bicicletta.
Stiamo parlando, come si sarà capito, del controverso programma di trasformazione del centro archeologico monumentale di Roma (nome in codice CarME) sbandierato di recente dai vertici del Campidoglio in vista delle grandi scadenze che aspettano la città: il Giubileo 2025 (scadenza certa) e l’Expo 2030 (evento possibile). Una vecchia idea dell’era veltroniana rispolverata oggi, in tempi di Pnrr, in mancanza evidentemente di altre idee.
Ma ciò che serve a Roma, cittadini e visitatori, è davvero la creazione di un parco giochi all’aperto che finirebbe non per valorizzare dal punto di vista storico-culturale, per riqualificare sul piano dei servizi e per rendere meglio fruibile una delle più importanti aree archeologiche del mondo, ma per snaturarla e svilirla nel nome di un turismo di massa concepito come pura cultura dell’effimero, dello svago e del consumo “mordi e fuggi”?

Purtroppo è esattamente quel che si ricava dalla lettura del documento che presenta il progetto, come al solito infarcito dei richiami alla moda all’inclusione, alla rigenerazione, all’ecosostenibilità, alla partecipazione, come se queste petizioni di principio rendessero poi possibile qualunque scelta.
Grazie alla riduzione dell’attuale carreggiata di via dei Fori Imperiali, si legge che sarà dunque possibile creare «due grandi ambiti pedonali attrezzati con installazioni e architetture contemporanee, con lo scopo di creare un insieme di piccole piazze, che sfumano una nell’altra e si affacciano sull’area archeologica, mitigando l’immagine della vecchia strada di scorrimento».
La mobilità in questa nuova struttura viaria sarà resa “dolce” attraverso l’uso di bici, monopattini e piccoli mezzi elettrici. Al tempo stesso, per aumentare la fruibilità dell’area archeologica sottostante e il benessere dei visitatori, si prevede di realizzare sedute per i passanti, totem multimediali, bagni pubblici chimici, distributori di acqua potabile, pensiline, spazi ludici e didattici per i bambini, pergole verdi e tendaggi removibili (ma solo per la stagione estiva), aree destinate alla danza, alla musica e al teatro. E ancora chioschi, punti di ristoro, installazioni di arte contemporanea in dialogo con le rovine, cui si aggiungerebbero infine (anche se nel documento non è scritto) gli inevitabili piccoli commerci abusivi di chincaglieria varia, artisti e performer di strada ed energumeni in abiti da gladiatore.
Se avete chiuso gli occhi e provato ad immaginare cosa potrebbe diventare questa parte di Roma (beninteso dopo che qualche studio di architettura di Tokyo, Berlino o Los Angeles si sarà aggiudicato il concorso internazionale) vi sarà certamente venuto in mente qualcosa che somiglia molto, messi insieme, a un luna park tecnologico, a un Paese dei Balocchi multicolore e a una Disneyland a tema costruita non con la plastica ma con rovine autentiche.

Un progetto dietro il quale – oltre l’alto obiettivo culturale ufficialmente dichiarato: la creazione di un legame virtuoso tra Antico e Contemporaneo – non è difficile scovare anche un retropensiero ideologico.

Nascosto dietro molti giri di parole, ciò a cui si punta soprattutto è infatti lo smantellamento dell’asse di Via dei Fori Imperiali nella sua attuale forma, giudicata evidentemente un retaggio politico-archeologico del Ventennio fascista e come tale non più accettabile per la nostra sensibilità odierna.
La soluzione immaginata la si potrebbe definire, scherzando ma non troppo, una versione alla casareccia della “cancel culture” di scuola nordamericana: invece di rimuovere o nascondere, non avendone il coraggio politico e l’autorevolezza culturale, si punta a svilire, edulcorare e imbellettare. Non si occulta polemicamente il passato. Ci si limita a passargli sopra, metaforicamente ma non troppo, una mano di vernice multicolore.
La severa grandezza dei Fori, il suo lascito giudicato simbolicamente ingombrante, le memorie di un passato al quale ormai ci si rapporta solo in termini di condanna moralistica, tutto ciò dovrebbe sbiadire grazie ad una sorta di cosmesi fondata, da un lato, su un’idea scolastica e triviale della contaminazione e del dialogo (tra epoche storiche, culture, generi ed estetiche), tipo mettere vicine una statua romana in marmo e la sua copia in resina color fucsia realizzata dall’artista concettuale di turno, e dall’altro su una visione della cultura di massa che privilegia l’attrazione ludica e la spettacolarità fine a se stessa rispetto alla comprensione e conoscenza della storia.
C’è solo da sperare, dinnanzi a un progetto tanto controverso e discutibile, che stavolta più che in altre occasioni non se ne faccia davvero nulla. Quanto al traffico, alla spazzatura e alle periferie degradate, quest’amministrazione prima o poi ci penserà senz’altro, ma senza fretta, con calma, mica sono questioni urgenti.

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