Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

L'analisi/ Le domande insolute sul caso di Pioltello

L'analisi/ Le domande insolute sul caso di Pioltello
di Luca Diotallevi
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 00:19

Quello che si è appena concluso è stato un Ramadan importante non solo per i fedeli dell’Islam e per pochi altri, ma per tutto il nostro paese.

Gli organi apicali di una scuola statale di Pioltello, nel milanese, hanno concesso un giorno di sospensione delle lezioni per consentire ad una porzione molto consistente degli studenti di partecipare alla festa con la quale si conclude il mese di Ramadan. La stessa decisione è stata presa poi anche da altre scuole e da altre università statali italiane.

Le reazioni sono state molto diverse e su tre di queste vale la pena riflettere. La Curia della Arcidiocesi cattolica di Milano ha tempestivamente espresso il proprio consenso alla scelta della scuola di Pioltello. Una maggioranza relativa della opinione pubblica italiana (stando ai sondaggi) si è mostrata in disaccordo con quei dirigenti scolastici e il suo dissenso è stato rappresentato da alcuni settori politici vicini alla Lega incluso il ministro Valditara. Le voci dei difensori della laicità dello stato e della sua scuola, in genere veementi contro i segni e le iniziative di matrice cattolica, questa volta hanno taciuto.

Di fronte a tre reazioni cosi diverse e forse impreviste è impossibile non farsi alcune domande. Perché la Chiesa milanese non ha protestato? Perché gli italiani e quella porzione di maggioranza sono stati contrari? Perché i sostenitori della laicità hanno taciuto?

La curia arcivescovile di Milano non ha fatto altro che essere fedele al dettato del Concilio Vaticano II che, ricollegandosi alla Tradizione, chiede ai credenti di difendere la libertà religiosa, non solo propria, ma di tutti, purché nel rispetto dell’ordine pubblico. Papa Ratzinger, in un discorso del 22 Dicembre 2005, indicò quella scelta del Concilio come un esempio altissimo di cosa significhi per la Chiesa rinnovamento nella continuità.

Dal canto loro i partigiani della laicità hanno mostrato con coerenza che questa ha per nemico soprattutto la Chiesa cattolica. Del resto, così la laicità si presentò al mondo sin dalle sue radici giacobine e poi con la legge varata nel 1905 dalla Terza Repubblica francese.

Infine, la maggioranza relativa degli italiani e chi le ha dato voce politicamente ha mostrato di ignorare o di non condividere il dettato costituzionale (cfr. in particolare gli articoli 3, 7, 8 e 19) il quale riconosce a tutti il «diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto» purché nel rispetto dell’ordine pubblico.

L’articolo 7 della Costituzione (quello che recepisce il concordato tra Stato Italiano e Santa Sede) è parte integrante del sistema di garanzie costituzionali della libertà religiosa perché stabilisce che la repubblica è fatta anche di “ordini”, di ambiti, nei quali lo stato non ha alcuna sovranità, salvo la competenza per la tutela dell’ordine pubblico. Anche per questa ragione l’Italia è un repubblica (cfr. art.1) e non uno stato (come era stata fino alla caduta del fascismo). Quello che la Chiesa cattolica ha ottenuto nel 1948 e ribadito nel 1984 non è innanzitutto un privilegio per sé sola, ma una piena cittadinanza anche per altre tradizioni religiose, e non solo in ambito cultuale.

In materia di rapporti tra poteri politici e poteri religiosi il Vaticano II (1962-1965) adotta una soluzione pressoché identica a quella scelta dalla Costituzione italiana venti anni prima (1946-1947), quando, e contro molte istanze del mondo cattolico e della Santa Sede, alla Costituente prevalse la linea di quanti (guidati da De Gasperi e protetti da Montini, il futuro Paolo VI) non volevano uno “stato cattolico”, ma una repubblica in cui vigesse la libertà religiosa.

La scuola di Pioltello non ha fatto altro che tentare di essere fedele al dettato costituzionale (cercando di rispondere alle condizioni in cui opera entro i margini di autonomia a sua disposizione). La Chiesa milanese non ha avuto tentennamenti nell’aderire sia al dettato del Magistero della Chiesa che a quello della Costituzione (cui – tra gli altri – non pochi cattolici milanesi e lombardi diedero un contributo decisivo).

Resta da osservare che se la legge può proteggere il godimento del diritto alla libertà religiosa, ciò che non può è assicurare le condizioni “materiali” che consentono a quel diritto di emergere e di mantenersi. Se a metà anni ’40 ed a fine anni ’70 in Italia il cattolicesimo fosse stato poca cosa o fosse stato addomesticato dalla morsa giacobina o ancora avesse avuto i tratti di un movimento integralista, fondamentalista o populista, non avremmo avuto la libertà religiosa in Costituzione.

Cosa succederà in futuro: si conserveranno le condizioni “materiali” della libertà religiosa? Chi può dirlo?

Emergerà una diversa combinazione di fattori sociali in grado di garantire lo stesso risultato? Nessuno può escluderlo, ma nessuno può garantirlo.

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