Extraprofitti, pace nella maggioranza. Tajani: «Ora più tutele»

Arrivano gli aggiustamenti del governo chi non versa mette a riserva più del doppio

Extraprofitti, pace nella maggioranza. Tajani: «Ora più tutele»
di Francesco Bechis e Rosario Dimito
5 Minuti di Lettura
Domenica 24 Settembre 2023, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 11:09

Sono avvantaggiate le piccole e medie banche dalle ultime versioni del provvedimento sugli extraprofitti: la prima varata venerdì sera, dopo un’intesa fra Giancarlo Giorgetti e Antonio Tajani, con l’avallo del premier Giorgia Meloni, l’altra ieri sera con limature suggerite dai dubbi dei banchieri.

Extraprofitti, si cambia: tutelate le piccole banche, gli istituti potranno trattenere l’importo. Passa la linea Tajani

È questo il compromesso trovato in maggioranza. Forza Italia esulta per la mediazione. O meglio, la pace siglata fra alleati dopo qualche incomprensione sull’imposta agli istituti. «Grazie a FI la tassazione sarà più equilibrata, verranno salvaguardati gli interessi dei risparmiatori e degli investitori, gli acquisti dei titoli di Stato e la specificità delle varie banche», spiega in serata il vicepremier e leader azzurro Tajani e per questo «ritireremo gli emendamenti di Fi». Le novità contenute negli emendamenti già bollinati potrebbero attutire l’irritazione dei banchieri. 


IL TESTO
Nel merito, all’articolo 26 del decreto Asset, si fa riferimento a una doppia opzione fra il pagamento della tassa secondo modalità diverse da quelle iniziali e la facoltà di accantonare, in una riserva indisponibile, una somma sia pure due volte e mezza l’imposta, a fini di rafforzamento patrimoniale, recependo le critiche della Bce relative a un indebolimento della resilienza in caso di choc sistemici. Nel nuovo testo resta esclusa la deducibilità dell’imposta, non è prevista l’esclusione delle piccole e medie banche né il carattere una tantum del prelievo, anche se si fa notare che la norma si riferisce a periodi di tempo precisi e se, per ipotesi, si volesse riproporre la tassazione negli anni successivi occorrerebbe farne una nuova.

In attesa di decisioni formali da parte delle banche che arriveranno con l’approvazione del bilancio 2023, appare verosimile da una parte che i piccoli e medi istituti come popolari e bcc sceglieranno la soluzione dell’accantonamento in una riserva non distribuibile di un importo due volte e mezza l’imposta, in modo da proseguire la politica di rafforzamento patrimoniale che attuano abitualmente destinando oltre il 70% degli utili; dall’altra i big del mondo bancario potrebbero avere atteggiamenti differenziati, in coerenza con le strategie manifestate, specie in tema di remunerazione degli azionisti.


L’emendamento si compone di quattro commi dove il primo ribadisce che la tassa è «del 40% del margine di interesse ricompreso nella voce 30 del conto economico redatto secondo gli schemi della Banca d’Italia» maturato negli esercizi 2022 e 2023 rispetto al 2021, in conseguenza del rialzo tassi Bce del 4,5%. Il prelievo riguarda il guadagno dalla forbice fra tassi attivi (sugli impieghi) e passivi (sui depositi dei clienti) eccedenti la quota 10% dello stesso indicatore nell’esercizio 2021. Il tetto massimo del prelievo non è più lo 0,1% dell’attivo dell’istituto secondo il bilancio 2021 bensì lo 0,26% «dell’importo dell’esposizione al rischio su base individuale» (cioè non del rendiconto consolidato): questa voce si riferisce al cosiddetto Rwa, che è l’attivo ponderato per il rischio. Si tratta di una voce di bilancio che gradua gli assorbimenti di capitale in funzione della rischiosità delle attività: un prestito tipo un mutuo assorbe capitale come gli investimenti finanziari (derivati, futures) con livelli diversi, mentre i titoli di stato (btp, bot) non impattano sul capitale e questo diventa un elemento positivo nella valutazione complessiva perché scongiura i timori che gli istituti, proprietari del 30% circa del debito pubblico italiano, per non pagare tasse o pagarne meno, potrebbero liberarsene mettendo in seria difficoltà lo Stato. 


LE STRETTOIE
Il fatto nuovo dell’emendamento è condensato nel comma c), dove si prevede che «in luogo del versamento dell’imposta, le banche possono destinare, in sede di approvazione del bilancio antecedente al 1° gennaio 2024, a una riserva non distribuibile (da vincolare al patrimonio senza poter erogare agli azionisti, ndr), un importo pari a due volte e mezza l’imposta calcolata ai sensi del presente articolo». Si specifica che tale riserva rispetta le condizioni previste dalle regole europee per calcolarle ai fini del capitale primario. Di fatto equivale a un aumento di capitale. Ma ieri sera dopo i dubbi dei grandi banchieri, l’ultima limatura: la riserva potrà essere distribuita come utile, ma pagando l’imposta maggiorata degli interessi Bce. L’ultimo comma spiega che le risorse rivenienti dalle tasse sono destinate al finanziamento del fondo di garanzia delle pmi.
L’opzione di trattenere la somma nel bilancio dei singoli istituti, a fini di rafforzamento delle dimensioni, potrebbe diminuire il gettito in cambio di un sistema bancario sempre più solido al servizio dell’economia reale, ma non è detto che le casse pubbliche restino a secco perché alcune banche potrebbe ritenere più conveniente ai fini delle proprie strategie pagare la tassa e distribuire il dividendo ai soci: questo è uno dei principali dilemmi da sciogliere nei prossimi giorni quando arriveranno chiarimenti sulla norma. Ora la partita sulle tasse delle banche non è del tutto chiusa perché entro domani alle 18 vanno presentati i sub emendamenti agli emendamenti del governo sul decreto Asset, poi martedì sono previste alle 13 e alle 18 le riunioni delle Commissioni Ambiente e Industria del Senato per l’approvazione (funerali di Napolitano permettendo), prima di passare alla Camera.
 

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